Dalle università del mondo arrivano segnali di sconforto. I tagli dei finanziamenti sono generali, dal Giappone agli Stati Uniti. In Francia le maggiori università protestano contro i *ranking *internazionali, ma qualcuno insinua che la protesta nasconda l’amara scoperta della perdita del primato che aveva la Francia.
Negli Stati Uniti continuano le acri denunce di William Pannapacker, quarantenne professore universitario di letteratura, che vorrebbe distogliere i giovani dagli studi di
humanities. Nel Regno Unito i professori di ogni materia lamentano le scarse retribuzioni e gli studenti la mancanza di posti di lavoro sicuri per laureati.
Con piglio ironico l’Economist suggerisce agli studenti: andatevene a studiare “burgerologia” alla McDonald’s university. Ma oltre le ironie, la cosa è seria. Le università di McDonald’s sono nate negli anni sessanta, la prima in Illinois, altre a Tokyo, Sydney, Monaco e dal 1989 a Londra. L’accesso non è facile, è più facile, dicono, entrare a Harvard. Gli aspiranti arrivano da tutto il mondo a migliaia, all’inizio poco preparati e con poca autostima.
A Londra ne selezionano uno ogni quindici. L’impegno dei corsi, di tre livelli, è severo, competitivo. Si studiano inglese, matematica, igiene e attività pratiche, dal grill all’amministrazione, attraverso case study in video, in stile Kahn academy, con eventuale traduzione simultanea per i non anglofoni. Chi esce ha un lavoro garantito e potrà diventare un dirigente (quelli di McDonald’s pare vengano tutti solo dal basso).
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