La terza impietosa indagine internazionale sui livelli di alfabetizzazione linguistica e matematico-scientifica delle popolazioni di una trentina di paesi ricchi (cosiddetti “sviluppati”) ha confermato, come altre volte qui si è detto, le due precedenti. Le indagini classificano cinque livelli crescenti di alfabetizzazione. I primi due includono analfabeti totali e semianalfabeti, solo dal terzo in su ci sono competenze sufficienti a scrivere e capire testi relativi alla vita quotidiana privata e sociale. Nella media dei paesi studiati, sotto il livello tre si trova circa la metà delle persone per capacità linguistiche e per capacità matematico-scientifiche. Anche in Giappone, Finlandia, Paesi Bassi, Svezia, Norvegia, paesi con scuole di comprovata e tradizionale alta efficienza, stanno tra analfabetismo e semianalfabetismo quattro persone su dieci.
L’efficienza dei sistemi scolastici dunque non basta. Occorrerebbe cambiare stili di vita. La Francia è messa male: è meglio di Spagna, Italia e Stati Uniti, però ha il 60 per cento di analfabeti e semianalfabeti. Puntare il dito contro la scuola è una semplificazione stolida. Bisognerebbe dirlo a Carole Barjon, giornalista dell’Observateur, che ha dedicato la sua penna brillante, ma non altro, a scrivere il libro Mais qui sont les assassins de l’école? (Laffont 2016). Secondo lei bisognerebbe fucilarei ministri dell’educazione degli ultimi quarant’anni, i loro consiglieri e soprattutto i pédagogo. E tutto andrebbe a posto.
Questa rubrica è stata pubblicata il 4 novembre 2016 a pagina 97 di Internazionale. Compra questo numero| Abbonati
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