“Dovrò arrangiarmi in qualche altro modo”, ha detto Jorge quando ha saputo che in molti luoghi di lavoro non sarà più offerto il pranzo. Finora era riuscito a sopravvivere facendo il cuoco in un ristorante dello stato. Il merito non era certo del magro stipendio che riceveva, ma dei soldi che riusciva a fare rivendendo al mercato nero una parte delle provviste del locale. Riforniva di riso un chiosco che vendeva piatti pronti, a un altro dava dell’olio e c’era anche una venditrice di sandwich che lo pagava per quel pane che non arrivava mai sul vassoio dei lavoratori. Così era riuscito a costruirsi una casa più grande.
Ma ora per questo agile commerciante delle cose degli altri sembra sia arrivata la fine. D’ora in poi i ministeri si limiteranno a distribuire quindici pesos cubani ai dipendenti, che dovranno organizzarsi da soli per il pranzo. La cifra ha stupito molti. Soprattutto quelli che per una giornata di lavoro di otto ore guadagnano molto meno. È come se il governo ammettesse che per pagare le spese di alimentazione e di trasporto dovrebbe triplicare gli stipendi. Jorge sa già quale sarà il suo prossimo lavoro: vuole diventare amministratore.
Così sarebbe lui a gestire il pagamento dei pranzi in base ai giorni di presenza dei dipendenti. Dice che chiuderebbe un occhio sulle assenze, per poi spartirsi con chi non ha lavorato la somma dei pranzi risparmiati. Per lui sarà un affare ancora più vantaggioso dei piccoli traffici al mercato nero. Magari l’anno prossimo riuscirà a portare la sua famiglia sulla lontana spiaggia di Baracoa.
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