Sono andato a trovare Nadeera e le ho portato dei dolci e un profumo. Lei ha 65 anni, ma sembra averne dieci. È tutta vestita di nero perché è una delle tante vedove irachene. Ha perso il marito nella guerra tra Iran e Iraq (1980-1988) e conserva una sua foto in uniforme appesa nel soggiorno.

“Non so se è un martire”, mi ha detto con la voce triste indicando con gli occhi la foto di suo marito. Prima i soldati e gli ufficiali vittime di quella guerra erano considerati martiri e meritavano una commemorazione speciale. Dal 2003 i nuovi governi hanno ignorato i martiri e le loro famiglie.

“Ero fiera di lui perché era morto mentre difendeva i nostri confini. Oggi che la guerra è un crimine, mio marito sarebbe un criminale, un martire o una vittima?”, mi chiede Nadeera. Gli dico che è stato vittima di una guerra insensata. “Quindi anche la sua famiglia è una vittima e dovrebbe ricevere una pensione come risarcimento”.

La casa di Nadeera è buia e decrepita. Da quando sua figlia si è sposata e si è trasferita ad Amman, in Giordania, lei è rimasta sola con i suoi ricordi. Alla fine le ho dato il profumo e i dolci che le mandava la figlia, ma lei li ha messi da parte. Ha preso la foto del suo nipotino e l’ha baciata commossa: “È uguale a suo nonno!”.

Internazionale, numero 810, 28 agosto 2009

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