Con Il gladiatore II, Ridley Scott ci ricorda che, a 86 anni, è comunque uno dei registi più energici in circolazione. Sedici anni dopo gli eventi del Gladiatore, il generale Marco Acacio (Pedro Pascal) assedia la Numidia, terra dove vive Annone (Mescal). Catturato e ridotto in schiavitù, Annone si rivela un formidabile gladiatore e spinto dal desiderio di vendetta si avvia al suo appuntamento con il destino. Mescal, con la sua aria da patrizio che nasconde una forza viscerale, è un buon erede di Russell Crowe. Ma tutto il cast (con in testa Pedro Pascal e Denzel Washington) partecipa a uno spettacolo epico che si rifà ai peplum degli anni cinquanta e sessanta sfruttando gli evidenti vantaggi degli effetti digitali. Guardare un film che parla di un impero sull’orlo del collasso fa un certo effetto dopo le elezioni statunitensi. Alcuni elementi, accostati alla decadenza dei nostri giorni, possono dare la nausea. Ma senza dubbio è un film divertente.
Maureen Lee Lenker, Entertainment Weekly
Stati Uniti / Regno Unito 2024, 148’. In sala
Stati Uniti 2024, 114’. In sala
Clint Eastwood è una figura così familiare e potente nel cinema americano, e da così tanto tempo, che si potrebbe pensare di averlo compreso a fondo. E invece, a 94 anni, con il suo 42° film, riesce ancora a colpire: un’asciutta e risoluta resa dei conti sulla legge, la morale, lo stato del paese e, possiamo immaginare, su cosa ne pensa di tutto questo. Sembra quasi irritato a giudicare dalla rabbia che ribolle in un film concentrato sulla difficoltà di trovare giustizia dentro – o forse nonostante – un sistema imperfetto. In ansia per la gravidanza complicata della moglie, Justin (Hoult) fa parte di una giuria in un processo per omicidio, scoprendo che il vero assassino (inconsapevole) potrebbe essere lui. Eastwood non prende mai una posizione netta sulla vicenda, mettendoci al livello degli stessi giurati. Il regista ha affrontato il tema dell’ingiustizia già in Changeling e in Richard Jewell, ma Giurato numero 2 è di gran lunga più potente di tutti e due quei film messi insieme.
Manohla Dargis, The New York Times
Singapore / Taiwan / Francia / Stati Uniti 2024, 126’. In sala
La premessa sembra spudoratamente simile a quella di Niente da nascondere di Michael Haneke: una coppia trova un dvd nella cassetta della posta e dopo averlo visto scopre di essere stata filmata di nascosto. Come il film di Haneke sfruttava quello spunto da horror domestico per spingersi in un territorio sociopolitico, così questo scivoloso e mutevole psicodramma sfrutta le trappole di genere come punto di partenza per immergersi nei meandri incerti e impegnativi dei comportamenti e delle relazioni umane. Sotto una patina fredda ed elegante il terzo lungometraggio del regista di Singapore rivela una riflessione toccante e malinconica sull’isolamento sociale e l’alienazione.
Guy Lodge, Variety
Romania / Francia / Lussemburgo / Croazia 2023, 163’. In sala
Regista dialettico che ama più di ogni altra cosa seminare zizzania tra le immagini, Radu Jude, 46 anni, realizza un’opera di sintesi, un pamphlet a modo suo, virulento e rude, gioviale e disperato. Il film ruota intorno ad Angela, un’assistente di produzione lanciata in interminabili corse in automobile ai quattro angoli di Bucarest in cerca di invalidi pronti a testimoniare di aver subìto gravi infortuni sul lavoro, per usarli in un spot sulla prevenzione di una multinazionale austriaca. Nella città, nota per i suoi mostruosi ingorghi, ogni viaggio diventa un percorso di guerra. Jude gestisce tagli e contrasti, si destreggia tra formati diversi e intermezza le avventure di Angela con spezzoni di un vecchio film di epoca comunista, Angela merge mai departe di Lucian Bratu. Da un’epoca all’altra, dal realismo di stato alla satira rovente, i volti della città si alternano, mettendone a nudo mutilazioni e punti ciechi. Giocando e riflettendo con le immagini, Jude si afferma come uno dei rari discepoli credibili di Jean-Luc Godard. Mathieu Macheret, Le Monde
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