Fare lo spacciatore a Tor Bella Monaca, quartiere nella periferia est di Roma, è più o meno come lavorare in una fabbrica che produce a ciclo continuo. Si comincia alle otto del mattino e si stacca alle quattro del pomeriggio, quando comincia il secondo turno, che si prolunga fino a mezzanotte. Chi lavora di notte chiude il ciclo delle ventiquattr’ore.
Il reclutamento avviene tramite una sorta di caporalato: quando serve uno spacciatore, se ne cerca qualcuno per strada o tra i tossicodipendenti della zona. Il compenso può arrivare a cento euro al giorno, dodici euro e mezzo all’ora. Non sono previsti soldi in più per gli straordinari, né bonus legati alle vendite.
Gli incassi totali si misurano in tutt’altre cifre. Al termine di un doppio turno per le strade della periferia romana che, parafrasando una battuta dello scrittore Ermanno Rea sulla gemella napoletana Scampia, viene da definire come “la schiuma nera della modernità capitolina”, A. consegna ai caporali-reclutatori 16mila euro.
I prezzi
L’eroina è tagliata molto e male – è mischiata cioè con altre sostanze, a volte pericolose – ma si compra a buon mercato, facendo concorrenza al ribasso alla più temibile rivale degli ultimi anni, e cioè la cocaina. La tendenza è cominciata nel 1990. Da allora e per i 25 anni successivi, in Europa il prezzo delle sostanze derivate dall’oppio, eroina compresa, è calato del 74 per cento, scrive il medico tossicologo Salvatore Giancane in Eroina. La malattia da oppioidi nell’era digitale.
Fino a qualche anno fa, per comprare un grammo di eroina si potevano spendere dai 50 ai 60 euro, oggi basta la metà dei soldi. Ma in quartieri come Rogoredo a Milano o Tor Bella Monaca a Roma, una dose inferiore al grammo può costare anche dai due ai cinque euro. Questo spiega il ritorno dell’eroina sul mercato italiano – dal quale, a sentire gli esperti, non era però mai scomparsa del tutto.
In una giornata passata nella piazza di spaccio di Tor Bella Monaca, l’unica certezza è che non esiste più una tipologia precisa di consumatori. Vedo passare operai in tuta, studenti universitari fuorisede e gente insospettabile, giovanissimi e ultracinquantenni, uomini e donne. Molti arrivano in auto, si fermano lontano da sguardi indiscreti per qualche minuto, e poi ripartono; chi è a piedi si allontana con discrezione verso il parco, delimitato in alto dai due chilometri di serpentone di via dell’Archeologia e in basso dallo stradone a scorrimento veloce che porta nel cuore di Tor Bella Monaca.
Da qui si intravvede il profilo dei casermoni che caratterizzano il quartiere. Da anni si parla di riqualificarli o addirittura, come immaginava l’ex sindaco di destra Gianni Alemanno, di abbatterli e ricostruirli sul modello delle casette costruite durante il ventennio fascista a Garbatella, quartiere nella zona sud della capitale. Ma per ora le cosiddette Torri, palazzoni di quindici piani dove vivono migliaia di persone, sono ancora al loro posto.
Uno dei luoghi preferiti per appartarsi è un anfratto di pochissimi metri quadrati in un angolo del parco. Lo chiamano “la grotta”, è vicino all’edificio che ospita una scuola elementare e media, e per entrarci bisogna mettersi carponi. All’interno trovo un ragazzo romeno, molto giovane, sta fumando crack. Dice che ha avuto una delusione d’amore, che vuole smettere e prima o poi lo farà.
Le stanze del consumo
La legge italiana non prevede le “drug rooms”, le stanze del consumo controllato che esistono per esempio in Danimarca, in Germania, in Spagna, e così il parco di Tor Bella Monaca è uno di quei luoghi che ne fanno le veci.
In Italia l’argomento è tabù, ma in molti paesi è al centro di discussioni e battaglie politiche. Uno studio della University of British Columbia di Vancouver ha provato a calcolare il rapporto tra costi e benefici delle stanze del consumo e ha concluso che per ogni dollaro investito il sistema sanitario ne risparmia 4,35. Tra gli aspetti positivi, c’è anche “il decrescere dell’uso di droghe in pubblico, della violenza di strada e del numero di siringhe abbandonate”.
Da questo punto di vista, nel vuoto lasciato dalla legge italiana, la fondazione Villa Maraini ha aperto un presidio mobile nel quartiere. Un camper con un medico, uno psicologo, tre operatori ex tossicodipendenti e due volontari della Croce rossa, sono presenti ogni giorno tranne il sabato e la domenica. Distribuiscono siringhe pulite in cambio di quelle usate, tamponi e acqua distillata per evitare il contagio di hiv ed epatiti, intervengono nei casi di overdose e di tanto in tanto riescono pure a convincere qualcuno a disintossicarsi grazie alla comunità terapeutica che hanno fondato quarant’anni fa a Roma.
Una delle più grandi piazze di spaccio
Claudio Piccione è la persona che accoglie chi raggiunge il camper per chiedere un ago nuovo, per segnalare un’emergenza sanitaria o chi a volte si avvicina solo per un bicchiere d’acqua. È un ex tossicodipendente, lavora con il gruppo di Villa Maraini da 15 anni, conosce molte delle persone che vengono a Tor Bella Monaca per drogarsi e sa come affrontare anche i casi più difficili. Il quartiere, mi dice, è oggi “una delle più grandi piazze di spaccio in Italia”. Di sicuro, nella regione, è il luogo con “il più alto indice di disagio socio-economico”, come si legge nel rapporto Mafie nel Lazio.
Un posto dove il Censis – citato dal rapporto – registra “un alto tasso di dispersione scolastica, un alto numero di minori e giovani adulti sottoposti a provvedimenti penali (il 27 per cento su base regionale), un elevato numero di giovani assistiti dai servizi per le dipendenze (serd), un elevato numero di minori in stato di indigenza, tassi molto significativi di disoccupazione giovanile, femminile e di lavoro nero”.
Nell’ordinanza di arresto per undici spacciatori, finiti in carcere nel febbraio 2017, i magistrati scrivono di un contesto sociale “assolutamente disagiato anche a causa di condizioni urbanistiche di estremo degrado, che hanno favorito il proliferare di un diffuso tessuto criminale nel quale il business della droga riveste senza dubbio un ruolo centrale nella gestione dei rapporti di potere, anche con importanti infiltrazioni di associazioni criminali di tipo mafioso”.
Nei continui fermi e arresti di piccoli spacciatori come A., che mettono in conto il rischio di finire in qualche retata e il più delle volte non se ne curano perché hanno bisogno di soldi per pagarsi la dose giornaliera, spicca la notizia del primo pentito nella storia criminale del quartiere, che ad aprile 2017 ha fatto arrestare quattordici trafficanti, nell’area considerata “impenetrabile” di via Giovanni Battista Scozza.
Da queste parti i clan possono attingere a un serbatoio apparentemente illimitato di persone, non solo giovanissimi. A. è un caso esemplare. L’ho conosciuto per caso e si è prestato a raccontare la sua storia di operaio “in fabbrica”, per dieci anni, giardiniere per altri otto e per il resto “ai giardinetti”, a far niente. Ha 51 anni ben portati e un fisico asciutto, è nato a Tor Bella Monaca.
La quinta mafia
Gli affari che girano intorno allo spaccio di droga hanno la forma di una piramide e ricordano quelli di una multinazionale: la differenza tra i guadagni di un narcotrafficante e quelli di uno spacciatore è simile a quella che c’è tra un supermanager e un dipendente precario. È lo scarto che esiste tra i 16mila euro consegnati da A. e i duecento ricevuti come compenso per 16 ore in strada a vendere eroina, cocaina e crack. Ma A. non è l’ultimo anello della catena. Più in basso di lui ci sono le persone che fanno i pali, cioè chi agli angoli delle strade tiene d’occhio l’arrivo della polizia o segnala qualcosa che non va.
Guadagnano tra i 50 e gli 80 euro al giorno, mentre a chi nasconde la droga – in casa, nei garage, nelle soffitte e negli scantinati – va un vero e proprio salario mensile: 500 euro. Soldi che alimentano quello che l’associazione antimafia Da Sud, nel dossier Roma tagliata male, definisce una forma di “welfare mafioso”. Le ultime inchieste giudiziarie dicono che si sarebbe notevolmente ridotto negli ultimi anni, per via dei colpi inferti ai clan da magistrati e polizia, e della crisi economica, che ha fatto abbassare i prezzi delle sostanze vendute, e dunque i ricavi e i dividenti.
Per capire chi controlla il traffico di droga nel quartiere riprendo in mano il dossier Mafie nel Lazio. Emerge una rete che tiene insieme alcune “famiglie locali”, i più noti Casamonica che spadroneggiano nel quadrante sudest della capitale, clan della camorra come i Moccia di Afragola e della ‘ndrangheta come i Gallace di Guardavalle, in Calabria. Un crogiuolo che Libera chiama “la quinta mafia”, e che gioca la sua partita con o contro le altre quattro – camorra, cosa nostra, ‘ndrangheta e sacra corona unita.
I guadagni sono milionari: ai Cordaro, una delle famiglie accusate di controllare lo spaccio a Tor Bella Monaca, sono stati sequestrati appartamenti e ristoranti per centinaia di migliaia di euro. I criminali avevano reinvestito 190 mila euro pure in una squadra di calcio dilettantistica sarda, l’Ilvamaddalena1903.
I numeri dell’eroina in Italia
Dei duecento euro ricevuti, A. ne spende immediatamente quaranta per la dose quotidiana e mi lascia per andare a “farsi uno schizzo”, lamentandosi della qualità dell’eroina, che a suo dire non ha nulla a che vedere con quella che comprava quando ha cominciato, 25 anni fa.
Anche l’annuale relazione al parlamento lo conferma: l’eroina che circola oggi è molto più tagliata di un tempo, e questo per garantire guadagni più elevati. Il rapporto dice altre cose interessanti: per esempio che negli ultimi anni c’è stata una crescita dei consumi di questa sostanza, sempre più spesso fumata invece che iniettata in vena. L’Italian population survey on alcohol and other drugs (Ipsad), uno studio del Cnr sull’uso di alcol e sostanze psicoattive tra la popolazione, ha stimato in 300mila il numero di eroinomani in tutta Italia, contro i 595mila consumatori di droghe sintetiche e il milione che consuma cocaina.
Sono però soprattutto i primi ad affollare i serd, come si legge nell’ultima relazione al parlamento: più di centomila su quasi 150mila assistiti, il 68 per cento del totale. In quelli di Roma si trovano tossicodipendenti di tutte le età, dai quattordicenni agli ultrasettantenni. L’età media è di 39 anni.
Al camper di Villa Maraini ogni giorno si avvicinano in media seicento persone. Qualcuno si ferma a parlare, altri si allontanano in fretta dopo aver preso quello che gli serve. La maggioranza conosce gli operatori e si fida di loro. Mi dicono che nel 2016 hanno distribuito 70mila siringhe e salvato diverse persone finite in overdose. In qualche caso non avrebbero resistito fino all’arrivo dell’ambulanza. A volte basta un bicchiere di acqua e zucchero contro un calo di pressione, in altri casi c’è bisogno di un’iniezione di naloxone, per contrastare gli effetti dell’overdose. La tempestività, in questi casi, è fondamentale. L’anno scorso, le morti per overdose in tutta Italia sono state 266, quasi tutte evitabili se i soccorsi fossero arrivati per tempo.
Paradossalmente, nel mirino delle periodiche campagne sulla sicurezza ci finisce chi, come il gruppo di Villa Maraini, prova a riempire i vuoti. “Siamo un presidio per il territorio, manteniamo pulito il parco e svolgiamo un servizio importante per la popolazione”, spiega Piccione. Eppure, c’è chi vorrebbe mandarli via, quasi addebitandogli la responsabilità di questa stanza del consumo a cielo aperto. Per mostrare quanto quest’affermazione non risponda al vero, invitano a venire il lunedì per vedere come, durante la loro assenza nel weekend, il parco si riempia di siringhe usate che loro puntualmente raccolgono.
La scorsa estate è accaduto pure che il camper fosse multato da un vigile urbano per sosta vietata. Ma il presidio mobile era stato autorizzato dalla regione Lazio e a Villa Maraini hanno sospettato, con qualche ragione, di essere al centro di uno scontro politico tra la giunta regionale di centrosinistra e comune e municipio finiti nelle mani del Movimento 5 Stelle. Il quartiere è diventato una roccaforte dei pentastellati, che tra i 30mila abitanti di questa periferia romana hanno preso il 41 per cento dei consensi e incassato pubblicamente l’autorevole appoggio dell’attore Claudio Santamaria, il supereroe di Tor Bella Monaca nel film di Gabriele Mainetti Lo chiamavano Jeeg Robot.
Nel conflitto politico rischiano di rimetterci le centinaia di persone assistite ogni giorno da Villa Maraini, che ha reagito tirando in ballo la giunta guidata da Virginia Raggi: “Che cosa vuol rappresentare questa multa? Un tentativo di scoraggiarci? Un modo per vessarci? Intimidazione? Qualcuno in Campidoglio forse non vuole più che si aiutino i tossicodipendenti?”.
Secondo le organizzazioni che ogni anno lavorano a un Libro bianco sulle droghe, il problema è che alla legge Fini-Giovanardi, dichiarata incostituzionale dalla consulta, è seguito un vuoto legislativo. Non esiste alcuna politica di prevenzione o di cura e la repressione non sortisce gli effetti annunciati. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: per ogni piazza di spaccio chiusa ne spunta puntualmente un’altra, i luoghi informali di consumo, come il parco di Tor Bella Monaca, alimentano l’intolleranza dei cittadini che si sentono abbandonati dalle istituzioni e le carceri si riempiono di piccoli spacciatori, contribuendo in maniera decisiva al sovraffollamento. Secondo i dati dell’associazione Antigone, un detenuto su quattro è tossicodipendente e, di questi, appena uno su sei finisce in una comunità di recupero.
A. lo sa bene e, consapevole del rischio che corre, fa lo spacciatore solo ogni tanto, quando ha bisogno di soldi. “Come ora che”, dice, “ho il conto del dentista da pagare”.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Abbonati per ricevere Internazionale
ogni settimana a casa tua.