Chiuso, il grande albergo Marhaba ha un’aria spettrale. Lenzuoli bianchi ricoprono le poltrone e nel bar deserto non ci sono sedie. Fuori solo l’irrigatore automatico è puntuale, e il prato è tagliato e curato come prima. Al centro, nella piscina, ci sono solo delle pozzanghere d’acqua, ricordo delle ultime piogge. La spiaggia è recintata con il filo spinato.
Il 26 giugno 2015 questo centro turistico è stato colpito dal più sanguinoso attacco terroristico della storia della Tunisia: 38 turisti stranieri, soprattutto britannici, sono morti sotto i proiettili di Seifeddine Rezgui, 23 anni, che ha dichiarato di far parte del gruppo Stato islamico (Is). Un colpo fatale per il turismo e l’economia, arrivato qualche mese dopo l’attentato al museo del Bardo, alla periferia di Tunisi, che era costato la vita a una ventina di visitatori.
L’estate scorsa, l’albergo a cinque stelle ha cercato di far buon viso a cattivo gioco, rimanendo aperto fino alla fine della stagione turistica. In settembre, ha chiuso “provvisoriamente”, approfittandone per cambiare pelle. La catena alberghiera spagnola Riu, di cui faceva parte, ha chiuso le sue attività nel paese. La nuova proprietaria dell’albergo, Zohra Driss, eletta al parlamento con il partito di maggioranza Nidaa Tounes, ha una sola idea in testa: voltare pagina il più presto possibile. Il nuovo resort dovrebbe chiamarsi Kantaoui Bay.
La regione di Sousse è una destinazione privilegiata dei visitatori occidentali alla ricerca di sole. Qui l’industria turistica ha debuttato negli anni sessanta. “Abbiamo una capacità di 40mila posti letto distribuiti su 96 alberghi. Di solito in questo periodo sono al completo, ma ora ci sono solo novemila turisti, di cui seimila russi”, si rammarica Foued Loued, responsabile regionale per il turismo.
Nella medina le botteghe di souvenir ora espongono bandiere russe e iscrizioni in cirillico
La crisi di fiducia nel paese si riflette nelle cifre: il numero di turisti britannici – il primo “mercato” della regione – è crollato del 98 per cento rispetto alla stagione precedente, anche a causa delle raccomandazioni del governo di Londra di non recarsi in Tunisia.
Nonostante il governo tunisino abbia obbligato gli alberghi a dotarsi di telecamere di sorveglianza, di vigilantes e di metal detector, l’immagine della Tunisia come destinazione sicura sembra ormai compromessa. La situazione turistica è cominciata a cambiare con la rivolta del 2011 e con la fuga del presidente Zine el Abidine Ben Ali in Arabia Saudita. A Sousse, soprannominata “la perla del Sahel”, tra il 2011 e il 2015 hanno chiuso 15 alberghi su 96 e altri 17 dopo l’attacco del 2015. Quelli rimasti aperti si accontentano ormai di un 20 per cento di presenze sul totale disponibile.
Oltre alle sue magnifiche spiagge, Sousse è nota anche per la sua medina ben conservata a una ventina di chilometri a sud della zona turistica. Il ribat (fortezza-monastero) che era servito da caserma militare durante le conquiste arabe dell’ottavo secolo è ancora intatto e la sua torre si affaccia sul porto moderno.
L’attività economica in questi vicoli coperti non si limita al turismo di massa; anche i tunisini in questo periodo di Ramadan ci vanno per fare i loro acquisti in mezzo alle botteghe di souvenir ornate di bandiere russe e di iscrizioni in cirillico. Un gesto di attenzione verso la nuova clientela russa.
Sul bordo di un marciapiede minuscolo risuonano delle martellate irregolari e secche. Una palma, un cammello e un minareto si cominciano a intravedere sul piatto in rame giallo brillante. Mondher Chayada, sulla cinquantina, seduto sul minuscolo marciapiede, è impegnato a incidere “Tunisia 2016”, un anno “meno buono del precedente”, secondo lui. “Nel 2015 avevamo ancora i belgi, i francesi, i tedeschi e qualche inglese. Quest’anno invece non ci sono più europei”. I russi non sono interessati all’artigianato. “Non hanno la curiosità e l’abitudine di comprare souvenir come gli europei; comprano solo cose pratiche, borse di cuoio o attrezzi”.
Il discorso è simile tra i proprietari dei carrettini che fanno servizio di trasporto e alcuni criticano questa nuova clientela pronta a mercanteggiare e poco disposta a pagare. “Non è lo stesso tipo di turisti”, afferma Mondher. Anche se il dipartimento per il turismo prevede per questa stagione 400mila russi, “se tutto va bene”, la nostalgia per il turista “europeo” è ancora molto forte.
Per evitare di ritrovarsi con degli alberghi completamente vuoti, la Tunisia ha dovuto guardare a est e cercare nuovi clienti in Russia, in Ucraina e così via. Ma è stato necessario ridurre i prezzi. Sui siti russi si trovano facilmente dei soggiorni di dieci giorni in un albergo quattro stelle, biglietto aereo compreso, a soli 450 dollari. Su scala nazionale, nei primi cinque mesi dell’anno, le entrate estere si sono ridotte del 20 per cento rispetto al 2015, ma quelle del turismo hanno sfiorato una diminuzione del 45 per cento.
Per i commercianti della medina l’unica buona notizia dovrebbe venire dagli algerini, che dopo l’Eid al Fitr dovrebbero arrivare sulle spiagge tunisine, meglio organizzate delle loro. Il settore spera in questo rapporto di solidarietà con i paesi vicini. Un rapporto, però, precario.
(Traduzione di Andrea De Ritis)
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