Il 14 giugno il presidente russo Vladimir Putin ha posto di fatto la resa dell’Ucraina come condizione per la pace, alla vigilia di una conferenza in Svizzera da cui la Russia è stata esclusa.
Putin ha infatti chiesto a Kiev di cedere le regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Cherson e Zaporižžja, e di rinunciare a entrare nella Nato.
“Non appena Kiev comincerà a ritirare le truppe dalle quattro regioni e rinuncerà formalmente ad aderire alla Nato ordinerò il cessate il fuoco e darò il via ai negoziati”, ha affermato davanti ai funzionari del ministero degli esteri.
Il presidente russo ha ribadito di volere un’Ucraina “neutrale, non allineata, priva di armi nucleari, smilitarizzata e denazificata”.
Queste condizioni rappresentano di fatto una richiesta di resa dell’Ucraina, il cui obiettivo è preservare la sua integrità territoriale ed entrare nella Nato.
“Un furto”
Nel settembre 2022 il Cremlino aveva proclamato l’annessione delle quattro regioni dell’Ucraina orientale e meridionale, che però l’esercito russo non controlla del tutto, mentre una quinta regione, la Crimea, era stata annessa nel 2014.
Putin ha poi contestato una conferenza di pace, da cui la Russia è stata esclusa, che si svolgerà in Svizzera il 15 e 16 giugno su iniziativa dell’Ucraina. Kiev spera che le novanta delegazioni presenti aumentino la pressione sulla Russia.
Putin l’ha liquidata come una “manovra per distogliere l’attenzione dai veri colpevoli del conflitto”, che secondo lui sono l’Ucraina e l’occidente.
Il presidente russo ha anche denunciato la decisione del G7 di garantire un prestito da cinquanta miliardi di dollari all’Ucraina attingendo ai beni russi congelati in Europa. “Si tratta di un furto, e non resterà impunito”, ha dichiarato.
Mychajlo Podoljak, consigliere della presidenza ucraina, ha definito le condizioni poste dalla Russia “contrarie al buon senso” e “un’offesa al diritto internazionale”.
Il segretario alla difesa statunitense Lloyd Austin ha affermato che Putin “non può dettare a Kiev le condizioni per la pace”.