Il 29 luglio almeno una persona è morta nel corso delle proteste spontanee, segnate da scontri con la polizia, che si sono verificate in Venezuela dopo la rielezione contestata del presidente Nicolás Maduro, secondo un’ong.
“Nello stato nordoccidentale di Yaracuy una persona è rimasta uccisa e 46 sono state arrestate”, ha affermato sul social network X Alfredo Romero, direttore dell’ong Foro Penal, che difende i prigionieri politici.
Migliaia di manifestanti sono scesi in piazza nella capitale Caracas per chiedere a Maduro di farsi da parte. Secondo alcuni giornalisti dell’Afp, sono stati bruciati alcuni manifesti con l’immagine del presidente.
“È la frode elettorale più grande del mondo”, ha dichiarato Luis García, 23 anni, uno dei manifestanti.
I manifestanti sono partiti dai quartieri periferici e si sono diretti verso il centro, dove sono stati bloccati dalla polizia antisommossa, che ha usato i gas lacrimogeni.
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Il 29 luglio Maduro è stato ufficialmente proclamato presidente dal Consiglio nazionale elettorale (Cne).
Riferendosi alle reazioni dell’opposizione e di una parte della comunità internazionale, Maduro ha denunciato “un tentativo di colpo di stato fascista”.
La sera del 29 luglio la leader dell’opposizione María Corina Machado, che non si era potuta candidare in quanto dichiarata ineleggibile, ha affermato nel corso di una conferenza stampa di essere in grado di “dimostrare la vittoria di Edmundo González Urrutia”, il diplomatico che l’aveva sostituita.
Secondo l’opposizione, González ha ricevuto 6,27 milioni di voti, contro i 2,7 milioni di Maduro.
In base ai risultati ufficiali comunicati dal Cne, Maduro, 61 anni, che rivendica l’eredità politica dell’ex presidente Hugo Chávez (1999-2013), è stato rieletto per un terzo mandato di sei anni con 5,15 milioni di voti (il 51,2 per cento), contro i 4,5 milioni di voti di González (il 44,2 per cento).
L’opposizione, che puntava a mettere fine a venticinque anni di governo chavista, ha immediatamente contestato i risultati.
“Lotteremo per la nostra libertà”, ha affermato González, ricordando al governo “il dovere costituzionale di rispettare la volontà del popolo”.
Maduro ha ricevuto il sostegno della Russia, della Cina e dei suoi tradizionali alleati latinoamericani (Cuba, Nicaragua, Honduras e Bolivia), ma la regolarità del voto è stata messa in dubbio da una parte consistente della comunità internazionale.
Nove paesi latinoamericani (Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panamá, Paraguay, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay) hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui chiedono un “nuovo conteggio in presenza di osservatori internazionali indipendenti”.
Anche il Brasile e la Colombia, guidati da presidenti di sinistra, hanno chiesto una verifica dei risultati, mentre gli Stati Uniti hanno espresso “il timore che non riflettano la volontà del popolo venezuelano”.
Il capo della diplomazia dell’Unione europea, Josep Borrell, ha chiesto “trasparenza totale”.
Caracas ha reagito alle critiche ritirando il suo personale diplomatico da sette paesi latinoamericani (Argentina, Cile, Costa Rica, Panamá, Perù, Repubblica Dominicana e Uruguay).
Ha inoltre annunciato che a partire dal 31 luglio sospenderà i voli con Panamá e la Repubblica Dominicana, denunciando interferenze nei suoi affari interni.
Il Venezuela, che per anni è stato uno dei paesi più ricchi dell’America Latina, si trova in condizioni disastrose: la produzione di petrolio è crollata, il pil si è ridotto dell’80 per cento in dieci anni, il sistema sanitario e quello scolastico sono a pezzi, e sette milioni di venezuelani sono fuggiti all’estero.
Il governo accusa un “blocco criminale” guidato dagli Stati Uniti di essere responsabile dei problemi del paese. Washington ha inasprito le sanzioni contro il Venezuela dopo la contestata rielezione di Maduro nel 2018.