Il 26 marzo cinque uomini sono stati condannati a morte per “blasfemia online” in Pakistan, dove i processi per offesa all’islam, la religione di stato, sono sempre più frequenti.
I condannati, quattro pachistani e un afgano, potranno fare appello contro la sentenza, emessa da un tribunale di Rawalpindi.
Finora nessuna condanna a morte per blasfemia è stata eseguita in Pakistan, e la maggior parte è stata commutata in ergastolo.
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“I cinque imputati sono stati condannati a morte per aver diffuso online contenuti blasfemi contro il profeta Maometto”, ha dichiarato all’Afp Rao Abdur Raheem, un avvocato della Commissione legale sulla blasfemia in Pakistan (Lcbp).
“Sono stati anche condannati all’ergastolo per aver profanato una copia del Corano e a dieci anni di prigione per aver offeso i credenti”, ha aggiunto.
L’Lcbp, un gruppo antiblasfemia, sostiene di aver segnalato negli ultimi anni più di trecento casi alla giustizia, ottenendo decine di condanne. Il gruppo è anche all’origine delle denunce contro i cinque uomini condannati il 26 marzo.
La questione della blasfemia è molto controversa in Pakistan, dove accuse vaghe e non provate possono portare a linciaggi in pubblico.
Negli ultimi anni sono aumentate le condanne per i casi di blasfemia online. È possibile essere perseguiti anche per un post su un’app di messaggistica privata.
Secondo le organizzazioni per i diritti umani, la legge antiblasfemia, che risale all’epoca coloniale britannica, è spesso usata per vendette personali o per attaccare le minoranze.
L’anno scorso l’ong Commissione pachistana per i diritti umani aveva puntato il dito contro i gruppi di avvocati che perseguono la blasfemia, come l’Lcbp.
“Questi autoproclamati difensori dell’islam conducono una caccia alle streghe e a volte fabbricano prove”, aveva affermato.