Il 1 aprile la polizia dello Zimbabwe ha annunciato l’arresto di 95 persone accusate di “promuovere la violenza pubblica” per aver partecipato il giorno prima a una manifestazione per chiedere le dimissioni del presidente Emmerson Mnangagwa.
La manifestazione era stata organizzata da un veterano della guerra d’indipendenza ed esponente dello Zanu-Pf, il partito al potere da quarantacinque anni in Zimbabwe, un paese povero dell’Africa meridionale.
Gli uomini e le donne arrestati erano tra i circa duecento manifestanti riuniti in piazza Robert Mugabe, conosciuta anche come piazza della Libertà, nel centro della capitale Harare. Sono accusati di aver lanciato pietre contro la polizia e di aver bloccato temporaneamente una strada.
I manifestanti hanno anche scandito slogan come “Basta” e “Mnangagwa deve andarsene”, secondo l’atto d’accusa.
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L’appello a manifestare era stato lanciato da Blessed Geza, che accusa una parte dello Zanu-Pf di voler permettere a Mnangagwa, 82 anni, di restare al potere oltre la scadenza del suo mandato nel 2028.
Il 31 marzo la polizia è stata schierata in forze nelle strade di Harare, ma alla fine ha dovuto sorvegliare solo pochi manifestanti, come ha riferito un giornalista dell’Afp. Scuole, negozi e uffici sono rimasti chiusi.
La sera del 31 marzo Geza ha fatto sapere che non avrebbe indetto altre manifestazioni, ma che avrebbe continuato a battersi contro “Mnangagwa e la sua cricca di corrotti”.
Mnangagwa, soprannominato “il coccodrillo”, era arrivato al potere nel 2017 dopo il colpo di stato militare che aveva deposto il presidente Mugabe.
La settimana scorsa Mnangagwa aveva destituito il capo dell’esercito Anselem Nhamo Sanyatwe, una decisione che secondo alcuni commentatori dimostra i timori del presidente per un nuovo colpo di stato.
Geza e altri veterani della guerra d’indipendenza vorrebbero sostituire il capo dello stato con il vicepresidente Constantino Chiwenga, un generale in pensione che aveva orchestrato il golpe del 2017.