Il governo di Pechino è preoccupato dai troppi acquisti fatti all’estero dalle aziende cinesi, perché potrebbero rappresentare un rischio per il sistema finanziario. Per questo il 23 giugno le autorità hanno ordinato una serie di controlli su alcuni grandi gruppi particolarmente attivi sui mercati esteri. La China banking regulatory commission (Cbrc), l’autorità che controlla il mercato finanziario cinese, spiega il Financial Times, ha ordinato alle banche di controllare attentamente i prestiti concessi alle holding Hna, Dalian Wanda e Fosun e alla compagnia assicurativa Anbang.
È coinvolta anche la Zheijang Rossoneri Investment, la società usata per comprare la squadra di calcio italiana del Milan. “Le autorità”, scrive il quotidiano britannico, “sono preoccupate dall’uso di strumenti rischiosi per finanziare gli acquisti. Questi prodotti impongono alle aziende impegni a breve termine a fronte di entrate future che potrebbero concretizzarsi solo nel lungo termine, creando un pericoloso squilibrio. La situazione è peggiorata dal fatto che le acquisizioni di solito sono concluse a prezzi molto alti”.
In effetti l’ondata di acquisti è impressionante. Secondo la Bbc, nel 2016 le aziende cinesi hanno investito all’estero 225 miliardi di dollari. La Frankfurter Allgemeine Zeitung riferisce che “negli ultimi cinque anni i quattro gruppi presi di mira da Pechino hanno comprato all’estero quote azionarie per un valore complessivo che supera i cinquanta miliardi di dollari”. Così sono diventate di proprietà cinese squadre di calcio, banche, fabbriche, case di produzione di Hollywood e il famoso Hotel Astoria di New York. Lo scorso maggio, quando la Hna ha aumentato la sua quota nella Deutsche Bank, diventando la principale azionista della banca tedesca con il 9,9 per cento, “a molti in Germania è venuto il sospetto che in Cina i soldi crescano sugli alberi”.
Bloomberg Businessweek racconta che negli ultimi anni alcuni grandi gruppi industriali cinesi hanno cominciato a comprare in giro per il mondo aziende di videogiochi e dell’intrattenimento. Il colosso chimico Zheijang ha comprato per un miliardo di dollari la Login, una casa slovena che ha sfondato grazie al videogioco Talking Tom cat. “Allo stesso modo un gruppo immobiliare ha comprato la casa di produzione cinematografica Legendary Entertainment, mentre la Framestore, l’azienda che produce gli effetti speciali per i film di Harry Potter, è finita nelle mani di un produttore cinese di materiali edilizi. Secondo la banca d’investimento Code Advisors, il 70 per cento delle acquisizioni di case di videogiochi concluse negli ultimi di due anni sono state realizzate da aziende cinesi”.
È difficile capire da dove arrivano i soldi usati per finanziare gli acquisti
Il settimanale statunitense spiega quest’ondata apparentemente strana di acquisizione con le “stranezze” dei mercati finanziari cinesi. “In Cina i gruppi industriali hanno quotazioni in borsa che nelle piazze finanziarie del resto del mondo sono inimmaginabili. Alcuni hanno un valore superiore di cento volte al loro fatturato annuo. Questo gli permette di comprare aziende a prezzi esorbitanti”. Il motivo per cui si rivolgono al settore dei videogiochi e dell’intrattenimento è la loro redditività: “Le aziende cinesi sono convinte che aggiungendo una casa di videogiochi avranno utili più alti rispetto a quelli assicurati in media dalle attività industriali, e quindi potranno far crescere ancora di più il valore delle loro azioni”. La logica sembra vincente se si pensa che “le azioni del gruppo minerario Zhongji sono cresciute del 30 per cento dopo che nel 2016 ha comprato la casa di videogiochi britannica Jagex per 400 milioni di dollari”.
In tutte queste operazioni, come in quelle messe a segno dai quattro gruppi su cui sono rivolte ora le attenzioni di Pechino, “è difficile capire da dove arrivano i soldi usati per finanziare gli acquisti”, osserva Bloomberg Businessweek. In sostanza è quello che ora vogliono chiarire le autorità. Sapere cosa sta succedendo non è semplice “in un paese dove le informazioni sicure sono una merce rara”, osserva la Frankfurter Allgemeine Zeitung. “L’intervento di Pechino è legato al timore che fuggano troppi capitali dal paese. Questo provocherebbe una svalutazione troppo forte e rapida dello yuan, la moneta cinese”. E poi c’è il rischio per l’intero sistema finanziario.
Il caso del gruppo assicurativo Anbang è particolarmente illuminante, al punto che per alcuni potrebbe diventare “l’equivalente cinese della Lehman Brothers. Quest’azienda, infatti, nel 2016 ha raccolto all’estero premi assicurativi per circa 66 miliardi di euro, mentre tre anni prima ricavava appena un ventesimo della cifra”. Gran parte di questi soldi sono stati usati per le più svariate acquisizioni all’estero, ma “negli ultimi tempi le entrate legate ai premi sono scese bruscamente. Se l’Anbang non riuscisse a mantenere tutti gli impegni finanziari contratti con i suoi venti milioni di clienti (i prodotti della compagnia hanno un valore pari a un terzo dell’intero pil cinese), a quel punto il tracollo dell’azienda potrebbe coinvolgere la classe media cinese e spingere Pechino a intervenire con i soldi pubblici per salvare l’azienda e soprattutto il sistema finanziario”.
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