Nei suoi video in cui accusa di corruzione il regime egiziano, l’attore e imprenditore Mohamed Ali insisteva molto sull’arricchimento personale della famiglia del presidente Abdel Fattah al Sisi, coinvolgendo in particolare Mahmoud, il figlio maggiore. Dopo le sue rivelazioni, l’Egitto ha vissuto nuove proteste nelle strade, che sono state attaccate dal regime con una violenza senza eguali: oltre 4.400 egiziani sono stati imprigionati in tre mesi, tra cui figure di intellettuali e attivisti come Alaa Abdel Fatah, Esra Abdel Fatah, Ramy Kamil e, all’alba di sabato 23 novembre, il giornalista Shadi Zalat del quotidiano online Mada Masr, arrestato a casa sua da quattro uomini in borghese.
Ogni volta che scatta un arresto, tutti – scrittori, politici, diplomatici che si occupano di Egitto – vanno a controllare sul sito di Mada Masr di cosa si tratta. Ma, questa volta, sono stati proprio i suoi giornalisti a finire nel mirino: dopo Shadi Zalat, il 24 novembre sono stati arrestati anche Lina Attalah, brillante capo redattrice, e i due redattori Mohamed Hamama e Rana Mamdouh. Una quindicina di uomini dei servizi, senza divisa, hanno fatto irruzione nella redazione mentre erano presenti anche alcuni giornalisti della tv France 24 venuti per realizzare alcune interviste a Lina Attalah.
Un giornalista francese ha raccontato in un’intervista l’arrivo dei militari, la confisca dei telefoni e dei computer e come siano riusciti, in extremis, a contattare l’ambasciata. Racconta anche della difficoltà di svolgere il proprio lavoro oggi in Egitto: i giornalisti stranieri devono chiedere il permesso con un mese in anticipo, indicando dove dovranno andare, con indirizzi e numeri civici, rendendo il lavoro di giornalista impossibile.
I giornalisti di Mada Masr sono stati liberati dopo qualche ora, ma l’azione ha provocato una condanna unanime della stampa di tutto il mondo, dal New York Times, al Washington Post, a Le Monde. La notorietà e l’autorevolezza del sito rappresentano quindi una protezione per i suoi giornalisti. Elemento fondamentale, visto che l’Egitto è al numero 163 nell’indice mondiale per la libertà di stampa del 2019 e viene considerato da Reporters sans frontières come “una delle più grandi prigioni di giornalisti al mondo”.
L’imbavagliamento della stampa egiziana non ha paragoni nella storia del paese
Tale ondata di solidarietà si spiega anche con il fatto che del ricco panorama del giornalismo egiziano, dopo la primavera del 2011 è davvero rimasto solo Mada Masr, creato nel 2013. Una squadra di persone speciali, con un coraggio e una serietà eccezionali. Il sito riesce a sopravvivere malgrado il fatto che sia stato oscurato, insieme ad altri 500 siti internet egiziani. Significa cioè che non è accessibile dall’Egitto – a meno di ricorrere a una Vpn (Virtual private network) per creare un collegamento anonimo e sicuro, ma danneggiando così le entrate pubblicitarie.
Gli altri giornali indipendenti nati dopo la rivoluzione sono spariti. Dall’arrivo al potere di Al Sisi, le aziende di comunicazione sono state comprate e pilotate dai servizi egiziani, come aveva rivelato Mada Masr in una sua inchiesta. L’imbavagliamento della stampa egiziana non ha paragoni nella storia del paese: oggi, il paese più popoloso del mondo arabo non ha più giornali, a parte quelli storici come Al Ahram, Al Masry Al Youm o Al Youm7, che di fatto sono diventati dei bollettini governativi. Come sottolinea The arab network for human rights information citato da Al Quds Al Arabi (che pubblica anche la lunga lista di tutti i giornalisti egiziani imprigionati) “i servizi di sicurezza stanno orchestrando un piano di oscuramento totale dei mezzi d’informazione in Egitto, la stampa professionale e indipendente è completamente scomparsa e 100 milioni di persone oggi vivono senza stampa, senza giornali o professionisti indipendenti”.
Faro del giornalismo investigativo
Ma Mada Masr non è solo l’unico sito indipendente rimasto nel paese, rappresenta anche un faro del giornalismo investigativo nel mondo arabo. Nel 2016 Internazionale aveva assegnato al suo giornalista Hossam Baghat il premio Anna Politkovskaja per un’inchiesta sul processo contro 26 militari accusati di aver organizzato un colpo di stato. Per quell’articolo Baghat era stato arrestato con l’accusa di aver diffuso notizie false e dannose per gli interessi nazionali. Aveva scritto nella sua lettera di ringraziamento per il premio, che non aveva potuto ritirare al festival di Internazionale a Ferrara perché le autorità egiziane gli impediscono di viaggiare all’estero: “Ero a piazza Tahrir nel gennaio del 2011 e ho visto che l’ingiustizia non può reggere l’urto di milioni di persone che urlano ‘pane, libertà, giustizia sociale’, a petto nudo davanti ai proiettili. Quando vedo le prigioni egiziane stracolme di migliaia di prigionieri politici e leggo di persone torturate e uccise senza processo e senza che i colpevoli siano stati individuati, quando vedo i miei amici e colleghi in carcere o in esilio penso a quel momento. Dedico il premio ad Anna Politkovskaja, a Giulio Regeni e a tutti gli eroi senza nome. Eroi, non vittime. Non abbandoneremo la nostra battaglia per la verità”.
Come ricordò anche Lina Attalah, venuta a ritirare il premio al suo posto, Mada Masr è l’unico giornale egiziano che ha lanciato un’inchiesta sul caso Giulio Regeni, con articoli fondamentali per chiunque cerca la verità sulla sua uccisione.
La ragione per cui il giornale ha subìto il raid di domenica è chiaramente legata alla pubblicazione di un articolo su Mahmoud al Sisi, il figlio maggiore del presidente. Nell’articolo, fonti vicine ai servizi sostengono che Mahmoud al Sisi fosse diventato una vergogna per la famiglia, considerato il suo pessimo lavoro all’interno dell’intelligence. Sarebbe così stato mandato in Russia per salvare quello che si poteva della popolarità del presidente. Una delle fonti vicine agli Emirati Arabi Uniti, fondamentali alleati del regime egiziano, spiega che “il presidente Al Sisi sa molto bene che vige oggi un altissimo grado di insoddisfazione all’interno delle istituzioni governative”. Di conseguenza, il regime impaurito sta cercando di capire fino a dove può arrivare impunemente. Come spiega Lina Attalah, “finché ci sarà silenzio intorno alla loro repressione, saranno sempre più incoraggiati a reprimerci”.
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