Dei tanti paesi dove il Global compact sull’immigrazione ha scatenato polemiche e tensioni politiche, l’unico a scivolare in una surreale crisi di governo non poteva essere che il Belgio, il regno dei compromessi improbabili, delle soluzioni fantasiose e, appunto, delle crisi di governo. Tre dei quattro partiti della coalizione che fino a sabato guidava il paese (i liberali francofoni e fiamminghi e i cristianodemocratici fiamminghi) si erano impegnati ad approvare il documento, frutto di due anni di negoziati promossi dalle Nazioni Unite. Il partito di maggioranza, la formazione nazionalista fiamminga N-Va, opponeva un no categorico.

Nessuno dei due schieramenti voleva prendersi la responsabilità di far cadere il governo. Poi, il 6 dicembre, il primo ministro, il liberale francofono Charles Michel, forte dell’appoggio di una “maggioranza di ricambio” in parlamento, ha annunciato che sarebbe andato a Marrakech “a titolo personale”. Più di un costituzionalista ha storto il naso per quest’uscita poco ortodossa, ma Michel ha tenuto duro, costringendo la N-Va a passare dalle minacce ai fatti.

La sera dell’8 dicembre, mezz’ora dopo l’inizio di quello che doveva essere un consiglio dei ministri risolutivo, i nazionalisti hanno lasciato la riunione. Poco dopo, in conferenza stampa, hanno annunciato che uscivano dal governo e che Michel poteva ormai considerarsi il premier della “coalizione Marrakech”: una formula “estremamente efficace”, osserva il docente di comunicazione François Heinderyckx, “che si diffonde facilmente sui social media e non richiede spiegazioni complesse”. A poco più di cinque mesi dalle prossime elezioni federali, la N-Va ha lanciato la sua campagna presentandosi agli elettori come un partito pronto a sacrificare il potere pur di restare federe ai suoi princìpi.

Improvvisamente Charles Michel si è ricordato di essere un difensore dei diritti dei migranti

Il 9 dicembre Michel è quindi partito per il Marocco, dove ha approvato, insieme ai rappresentanti di altri 163 stati, il Global compact sull’immigrazione. Certo è curioso come durante i quattro anni di coalizione, i liberali francofoni non abbiano avuto da ridire sulla linea dura imposta dai nazionalisti fiamminghi in materia di politiche di asilo e immigrazione.

Cooperare con il Sudan sui rimpatri? Nessun problema. Ripristinare la detenzione delle famiglie con figli minorenni in soggiorno irregolare? Perché no, lo fanno anche altri paesi. Ma con gli occhi delle Nazioni Unite e dei giornalisti di tutto il mondo puntati addosso, improvvisamente Charles Michel si è ricordato di essere un difensore dei diritti dei migranti, almeno sulla carta.

La natura del nuovo governo
In Belgio, intanto, alcuni costituzionalisti hanno continuato a storcere il naso. Come prima cosa, Michel avrebbe mostrato scarsa considerazione verso il re Filippo. Intervistato dal quotidiano Le Soir, Marc Verdussen ha ricordato che “il Belgio è una monarchia costituzionale” e che “in momenti di crisi il primo interlocutore è il re”. Filippo, invece, “è stato messo davanti al fatto compiuto”, denuncia Francis Delpérée sulla Libre Belgique. È probabile che non gli sia spiaciuto rimanere in disparte: Filippo non ha né l’esperienza né la disinvoltura di suo padre Alberto II, che ha ceduto il trono al figlio nel 2013 dopo aver guidato il paese attraverso crisi ben più serie.

C’è poi la questione della natura del secondo governo Michel: si tratta di un rimpasto – come sostengono alcuni costituzionalisti, parte dell’opposizione e il servizio giuridico del parlamento – o di un nuovo governo che deve ottenere la fiducia della camera? Il programma non è cambiato e gli incarichi dei cinque esponenti N-Va che si sono ritirati sono stati ridistribuiti tra i dodici ministri rimasti. Michel assicura: la fiducia non è necessaria. Ma la questione rimane da chiarire.

In ogni caso, con appena 52 seggi alla camera su 150, il secondo governo Michel nasce su basi fragili e, ammesso che sopravviva, sarà costretto ad avanzare a colpi di arrêtés royaux (decreti reali) o cercando l’appoggio degli ex alleati della N-Va. Questi ultimi non hanno motivo di ostacolare i liberali francofoni, con i quali potrebbero voler formare una nuova coalizione dopo le elezioni di maggio.

Gli avversari della N-Va sono altri: i partiti fiamminghi alla sua destra (il Vlaams belang, formazione di estrema destra che alle ultime elezioni locali, a ottobre, ha guadagnato terreno in tutte le Fiandre) e alla sua sinistra, ovvero i liberali e i cristianodemocratici con cui ha governato fino all’8 dicembre.

Ecco perché, appena consumata la rottura, i nazionalisti fiamminghi e i liberali francofoni si sono scambiati pubbliche dichiarazioni di stima, mentre la liberale fiamminga Maggie De Block, ministra della salute e, dall’8 dicembre, responsabile anche delle politiche di asilo e migrazione, ha subito attaccato il suo predecessore, il nazionalista Theo Francken.

Chiusa la parentesi internazionale a Marrakech, Michel sta ora cercando appoggi per il suo governo azzoppato. Intanto nelle Fiandre c’è chi una parentesi internazionale l’ha appena aperta: il Vlaams belang, che l’8 dicembre ha accolto al parlamento fiammingo la leader del francese Rassemblement national Marine Le Pen e l’ex consigliere di Trump Steve Bannon per un evento contro il Global compact. Domenica 16 dicembre a Bruxelles la sezione giovanile del Vlaams belang organizza insieme a vari altri gruppi di estrema destra una marcia “contro Marrakech”. La N-Va non ha ancora fatto sapere se parteciperà.

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