The Comet Is Coming, Summon the fire
Da un paio d’anni il jazz ha trovato nuova linfa, conquistando un pubblico più ampio. Il caso di The epic di Kamasi Washington, uscito dai circoli jazz di Los Angeles per approdare ai festival rock di tutto il mondo, ha fatto da spartiacque, sfruttando l’onda lunga inaugurata da Flying Lotus qualche anno prima. Ma non è così solo negli Stati Uniti, anzi. Il Regno Unito è ormai una fucina di jazzisti di successo, a partire dal duo (ormai dissolto) Yussef Kamaal fino ai Shabaka and the Ancestors e i Sons of Kemet, due band guidate dal carismatico sassofonista Shabaka Hutchings.
In questi anni Hutchings ha inaugurato anche un altro progetto interessante insieme al tastierista Dan Leavers e al batterista Max Hallett. La band si chiama The Comet Is Coming e fonde il jazz di Sun Ra e Pharoah Sanders con il funk, il rock e l’afrobeat. È soprattutto la tastiera di Leavers a fare da tappeto sonoro, mentre Hutchings libera il suo sax e il suo clarinetto per aprire orizzonti cosmici. A tratti in alcuni passaggi ritmici sembra di sentire echi del grime, un sottogenere del rap molto popolare nel Regno Unito.
Il secondo disco dei The Comet Is Coming s’intitola Trust in the lifeforce of the deep mystery, è stato pubblicato dalla prestigiosa etichetta statunitense Impulse! e sarebbe l’ottima colonna sonora di un film di fantascienza afrofuturista. Il sipario si apre con le atmosfere alla Coltrane di Because the end is really the beginning. Sono gli episodi più ritmici a tirare fuori il meglio del trio, come Summon the fire e Blood of the past, dove c’è anche uno spoken word di Kate Tempest, anche se il tappeto quasi ambient di Astral flying non è da meno. Trust in the lifeforce of the deep mystery è un disco di jazz atipico, tanto nostalgico quanto moderno, un viaggio intergalattico nel quale ogni brano si lega all’altro come un unico flusso. E Shabaka Hutchings riesce a portare il jazz fuori dai suoi confini, un po’ come Kamasi Washington.
La band britannica sarà in tour in Italia all’inizio di maggio, con due date a Roma e a Milano. Non vedo l’ora.
Billie Eilish, Xanny
Il pop di Billie Eilish è una spanna sopra a quello che si sente spesso in classifica. La cantante di 17 anni, star di Instagram, è all’esordio su album con When we all fall asleep, where do we go? dopo aver collezionato diversi singoli di successo. C’è un’oscurità di fondo che si nasconde dietro alle melodie orecchiabili della giovane losangelina (non a caso molti brani, come il singolo Bury a friend, sono costruiti su accordi minori).
Come spesso capita nella musica, si gioca sui contrasti. La scrittura di Eilish è semplice e classica ma la produzione, curata dal fratello e coautore Finneas O’Connell, la trasforma in qualcosa di più complesso, mettendo nel calderone altri generi, dall’elettronica alla trap, con l’influenza di Lorde sullo sfondo.
L’esempio perfetto di quanto funzioni bene la formula è Xanny, un brano dalla cadenza un po’ jazzata nel quale Eilish riflette sullo Xanax, un medicinale contro l’ansia ormai diventato una droga a scopo ricreativo nel mondo dell’hip hop statunitense, sia tra i musicisti sia tra gli ascoltatori. Il modo in cui la voce della cantante si trasforma da un sussurro al lamento di un robot mal programmato è da manuale.
When we all fall asleep, where do we go? è un disco di gran classe, che pesca da un immaginario gotico (nelle canzoni Eilish parla dei suoi sogni, che sono spesso inquietanti) e va al di là del pubblico per il quale è stato pensato, quello dei teenager. Billie Eilish è una stella del pop.
Beth Gibbons, II. Lento e largo—Tranquillissimo
Negli ultimi vent’anni poche band hanno dato un contributo alla musica leggera come i Portishead. Uscita da quella splendida nidiata che ha guidato il movimento del trip hop nel Regno Unito degli anni novanta, la band di Beth Gibbbons, Geoff Barrow e Adrian Utley ha saputo andare perfino oltre quel movimento. Ha pubblicato pochi dischi, tre, ma tutti di altissimo livello. Third, uscito nel 2008, è stato forse l’apice della loro incredibile carriera, un album che ancora oggi sembra un capolavoro.
È naturale quindi essere affascinati da ogni cosa che fa Beth Gibbons. Già il suo precedente disco solista, Out of season, scritto e registrato con Paul Webb dei Talk Talk, era splendido. La scelta di interpretare la Symphony no. 3 del compositore polacco Henryk Górecki con la Polish national radio symphony orchestra, diretta tra l’altro da un peso massimo come Krzysztof Penderecki, è stata coraggiosa e sorprendente, perfino per un’artista poliedrica come lei.
Quella di Gibbons però non è una scelta casuale: la Symphony no. 3 è stata un best seller per il genere e ha già fatto breccia diverse volte nell’immaginario pop. Come ha raccontato Claudio Todesco su Rolling Stone, nel 1993 arrivò al sesto posto nella classifica britannica e in questi anni è stata reinterpretata dal sassofonista Colin Stetson, dai Godspeed You! Black Emperor e da altri musicisti.
Pur non essendo un soprano, Gibbons si confronta con quest’opera cantata in polacco, d’ispirazione religiosa ma anche storica, e dà un contributo molto umile, consapevole dei suoi limiti vocali. Il disco è appena uscito ma la performance di Gibbons risale in realtà al 2014. Non sono un esperto di musica classica e non credo di avere gli strumenti per giudicare questo disco, ma mi ha affascinato molto.
Quentin40, Le darò 1 passà
Classe 1995, Quentin40 è il talento più puro tra i giovani rapper italiani. È l’autore di quel gran pezzo che è Thoiry, pezzo portato alla ribalta dal remix di Boss Doms e Achille Lauro, ed è famoso nell’ambiente perché rappa troncando le parole, trasformando l’italiano in una specie di neolingua che somiglia molto al francese (infatti cita sempre L’odio di Mathieu Kassovitz come fonte d’ispirazione).
Cresciuto ad Acilia, alla periferia di Roma, Quentin40 si chiama in realtà Vittorio Crisafulli. Oggi vive a Milano ed è affiancato dal (bravo) produttore Dr. Cream, una figura che nel caso dei rapper non può mai essere considerata secondaria.
Il disco d’esordio di Quentin40 s’intitola senza grande fantasia 40 e raccoglie i suoi singoli usciti in questi mesi (non c’è Thoiry, però) e qualche brano inedito. E conferma che Quentin40 è bravo, al netto di qualche ingenuità che possiamo perdonargli, come lo scialbo gioco di parole di Tiki Taka. Però ci sono anche diversi brani di ottimo livello come Giovan8, Le darò 1 passà e Scusa ma. L’unico featuring è quello di Fabri Fibra in 666GAP. C’è del talento, da queste parti.
King Gizzard & The Lizard Wizard, Boggieman Sam
Quella manica di svitati chiamata King Gizzard & The Lizard Wizard ha pronto un altro album, intitolato Fishing for fishies. In effetti mi stavo preoccupando, erano fermi da più di un anno dopo aver pubblicato cinque (!) dischi nel 2017. Il gruppo, abituato al rock psichedelico, ha detto che le nuove canzoni sono nate dal tentativo di fare musica “tipo blues-boogie-shuffle”. Chissà cosa si sono inventati stavolta.
P.S. Le canzoni del weekend stanno per prendersi un paio di settimane di pausa, ci risentiamo il 20 aprile. Playlist aggiornata, buon ascolto!
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