Da adolescente, Samuel (nome di fantasia) è stato mandato a vivere in una stanza senza finestre in un’area abbandonata alla periferia di Nairobi, la capitale del Kenya. Lì racconta di essere stato sottoposto a elettroshock e costretto a guardare foto di “ani e peni martoriati” da persone che gli dicevano che se non avesse smesso di essere gay avrebbe “fatto la stessa fine”. “Non potevo fare né ricevere telefonate”, spiega Samuel. “Mi davano anche dei farmaci che mi provocavano sonnolenza e spossatezza. Mi sentivo abbandonato. Avevo paura di morire”. Dice di essere rimasto in un “istituto per la terapia di conversione” per un anno e mezzo. “Ho odiato i miei genitori per avermi sottoposto a quel trattamento”.
Le cosiddette terapie di conversione anti-lgbt promettono di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un individuo con metodi che vanno dalla terapia conversazionale alle violenze fisiche. Samuel è uno dei cinquanta sopravvissuti a questi trattamenti che hanno condiviso la loro esperienza con openDemocracy. “È stato terribile”, afferma una lesbica ugandese che è stata sottoposta a sedute di elettroshock in una clinica della capitale ugandese Kampala. Pur essendo trascorso molto tempo, dice, il risentimento verso la sua famiglia – che l’aveva portata in quel posto – non è mai svanito.
Molti intervistati raccontano di essere stati consegnati a questi centri dai loro parenti. In Africa orientale le identità lgbt non sono solo stigmatizzate, ma criminalizzate: nei tre paesi presi in esame – Uganda, Kenya e Tanzania – la sodomia è punita con il carcere. I sopravvissuti hanno descritto effetti di lungo termine sulla loro salute mentale, sui rapporti familiari e sul loro benessere generale. Alcuni raccontano che oltre ad aver subìto “trattamenti” dolorosi hanno finito per lasciare la scuola e hanno perso tutti gli amici. Per alcuni si tratta di esperienze recenti; per altri meno, ma gli effetti degli abusi continuano a farsi sentire. Una donna tanzaniana transgender racconta che sua madre l’ha portata in un ospedale di Dar es Salaam, la città più grande del suo paese, dove un dottore ha cercato di convincerla che non si può essere transgender. Oggi, afferma, “sono molto diffidente nei confronti dei medici. Anche se sto molto male, non vado a farmi visitare”.
Degradanti e discriminatori
I tentativi di “curare” l’omosessualità sono “intrinsecamente degradanti e discriminatori”, dice Kaajal Ramjathan-Keogh, direttrice per l’Africa dell’organizzazione International commission of jurists. Allo stesso tempo sono un’“opportunità di guadagno per persone e organizzazioni”. Spesso infatti per le “terapie” è richiesto un compenso. Il centro Fountain of hope, vicino alla capitale keniana Nairobi, propone di “curare” l’attrazione omosessuale con un programma di tre mesi che costa 23 dollari al giorno, una cifra enorme in un paese dove un terzo delle persone vive con meno di 1,9 dollari al giorno. Il fondatore Kalande Amulundu ha promesso a una giornalista che fingeva di avere un fratello gay che nel suo centro sarebbero riusciti a modificare l’orientamento sessuale del fratello. Anche se, ha precisato Amulundu, “sarebbe stato più facile farlo diventare bisessuale”. Le attività per “modificare” l’orientamento sessuale degli individui sono state condannate da più di sessanta associazioni di medici e psicologi in tutto il mondo. ◆ gim
L’articolo è stato scritto da Lydia Namubiru, Khatondi Soita Wepukhulu e Rael Ombuor.
◆ I giornalisti di openDemocracy hanno visitato, presentandosi come potenziali pazienti o loro familiari, dodici centri di cura in Uganda, Kenya e Tanzania che propongono delle terapie per modificare l’orientamento sessuale o l’identità di genere attraverso attività fisiche, farmaci e colloqui. Queste presunte terapie violano i diritti umani e sono vietate in Brasile, Ecuador, Malta e Germania. La metà di questi centri sono gestiti da gruppi che ricevono aiuti internazionali per lo sviluppo.
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Questo articolo è uscito sul numero 1418 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati