Garden Grove, Stati Uniti (P. Bersebach, MediaNews Group/Getty)

A gennaio il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti ha raggiunto il 4 per cento, in leggero aumento rispetto al 3,9 per cento di dicembre. Si tratta in ogni caso di una crescita contenuta, considerati gli effetti negativi per l’economia dell’ondata di contagi legata alla variante omicron del virus sars-cov-2. Da questo punto di vista, scrive il Wall Street Journal, gli Stati Uniti stanno facendo molto meglio delle altre economie avanzate. “Ma c’è un aspetto importante in cui restano indietro: la forza lavoro. Tra il quarto trimestre del 2019 e il trimestre corrispondente del 2021 il tasso di partecipazione al lavoro negli Stati Uniti – la quota di popolazione tra i 15 e i 64 anni che lavora o è in cerca di lavoro – è diminuito dello 0,7 per cento. Lo stesso indicatore, invece, è cresciuto in Giappone, in Canada e nell’eurozona”. Tutto questo succede mentre le aziende statunitensi sono alle prese con una grave carenza di manodopera, che contribuisce ad aumentare i salari (e l’inflazione), ma allo stesso tempo fa salire i carichi dei lavoratori rimasti. Tra le varie ragioni che spiegano questa differenza, osserva il quotidiano, c’è il diverso modo di affrontare la crisi occupazionale provocata dalla pandemia: mentre il Giappone o il Canada hanno introdotto sussidi e misure per scongiurare i licenziamenti, gli Stati Uniti hanno sostenuto direttamente i lavoratori licenziati per favorirne il reimpiego in altri settori. Ma in questo modo è stato indebolito il legame tra i lavoratori e le aziende. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 101. Compra questo numero | Abbonati