Un’esplosione di colori. Non solo, ma è questa la prima cosa che colpisce, che attira e seduce nelle immagini di Prince Gyasi: tinte talmente intense che sembrano illuminate dall’interno, con un impatto grafico immediato. I colori spesso saturi – tra il verosimile e l’irreale o addirittura il surreale – non attenuano la forza di un punto di vista, espresso sia attraverso i titoli, diretti e semplici, sia attraverso le situazioni.
Le immagini di Gyasi funzionano come una superficie, un guscio che, se lo si guarda bene, non è vuoto. Appartengono più all’universo delle immagini che propriamente a quello della fotografia, a cui però rimandano con la cura della loro composizione. Come la fotografia ai suoi esordi che, non avendo altri modelli, si è ispirata alla pittura fino a volerla copiare, parodiare e superare, la maggior parte delle immagini lavorate con la tecnologia digitale conserva dei richiami agli elementi classici della fotografia. Ma in quelle di Prince Gyasi l’idea stessa di realismo, e ancor più di verità scompare completamente e lascia il posto a un modo molto contemporaneo di ricorrere all’elemento grafico. Un segno essenziale che non moltiplica gli elementi per facilitare la lettura e ricorre all’uso dello smartphone e a una postproduzione pesante. Un segno che mette in evidenza i corpi e la pelle nera con sensualità e linee eleganti.
La sabbia può diventare rosa chiaro e il cielo dei tropici che s’incendia al tramonto può invadere con un arancione potente e uniforme lo sfondo dell’immagine. Un cielo scenografico può anche virare a un azzurro intenso, sempre uniforme, più simile a una forma di pittura digitale che all’azzurro del cielo vero e proprio. Ma in altre immagini – che ci permettono di apprezzare il livello di libertà dell’artista – Prince Gyasi è capace di modificare con sfumature sottili le tinte, a volte rosa, altre arancioni, per portarci verso degli oceani cobalto, tanto magnifici quanto lontani dalla realtà, o un verde tendente allo smeraldo altrettanto inverosimile. La libertà di Gyasi è la spontaneità e il piacere che la generano. È evidente in un’immagine come Symbols of womanhood, la foto presa dall’alto di una donna con un vestito a motivi blu e gialli, che lavora china in un campo con piante dalle foglie carnose di varie gradazioni di giallo e verde. Questa fotografia vibra con delicatezza, come uno scintillio, quando la luce si riflette sulle forme arrotondate che sembrano smaltate. Una visione prettamente grafica e riuscita della condizione femminile, peraltro poco presente in un universo globalmente maschile. Ma l’artista torna rapidamente a immagini più nette, dirette, come due bambini visti di schiena in pantaloncini gialli e verdi mentre reggono una rete da pesca, stagliati sul blu intenso dell’acqua. “Quando lavoro per realizzare l’immagine che ho in mente, mi piace dire ai miei modelli quello che devono portare e fare. Penso in anticipo ai vestiti e agli accessori di cui potrebbero aver bisogno. Quello che rende uniche le mie immagini è il mio stile sempre diverso. A volte faccio dei ritratti, altre delle foto documentarie. Succede anche che non interferisco con quello che succede e lascio semplicemente che le cose accadano per catturare i momenti migliori”. Si potrebbe dire che con le sue tinte, il suo approccio diretto, la sua efficacia grafica, Prince Gyasi sia in sintonia con i nostri tempi. Non a caso, prima ancora di essere scoperto dalle riviste specializzate, è stato accolto molto bene dai giornali che si occupano di moda. A tal punto che nel marzo 2021 il settimanale francese Madame Figaro gli ha chiesto di fare la sua copertina con Naomi Campbell, e a settembre GQ gli ha affidato una serie di foto sul cantante nigeriano Wizkid, il re dell’afropop.
Impegno sociale
Prince Gyasi si è occupato anche di infanzia, relazioni tra genitori e figli e altro, come si vede dalla lista dei titoli delle serie sul suo sito: Prendere cura/amare, Ragazzi senza prospettiva, Donne/la donna, Tappe, Controllo, Bondage. Ogni capitolo del suo lavoro è accompagnato da un piccolo testo, talvolta ingenuo, ma indubbiamente sincero, che rende più esplicito il modo in cui questo autore nato nel 1995 concepisce il significato della sua creazione: “Ho cominciato nel 2012, ma l’arte ha sempre fatto parte della mia vita. Mia madre fa la cantante in Ghana e mio padre è un cantautore. Di solito fotografo le persone nere, soprattutto perché le loro storie sono le sole che mi sento in grado di raccontare”.
Prince Gyasi è un grande appassionato di musica, compresa quella africana, che cerca di contestualizzare e diffondere, come ha fatto con il progetto A great day in Accra, la capitale del Ghana dove vive e crea gran parte delle sue immagini. Con questo progetto il fotografo racconta il mondo della hiplife (un genere nato in Ghana e che unisce l’hip hop, l’highlife e le diverse lingue del paese) e ha fatto emergere l’identità della cultura hiplife e dei suoi esponenti. In un modo diverso ma sempre attento al futuro e al contesto sociale, Prince Gyasi ha lanciato Boxed kids. “Il progetto si occupa di ragazzi che sono intrappolati in un posto o in una situazione da cui non riescono a uscire. Questa serie mostra fino a che punto la vita a Jamestown, un piccolo quartiere di pescatori di Accra, è difficile per molti ragazzi. L’ispirazione mi è venuta quando l’estate scorsa ho aiutato mia madre a organizzare un evento per i ragazzi più poveri. Mi sono reso conto che molti di loro avevano doti creative, ma erano incapaci di riconoscere il loro talento o di svilupparlo a causa della povertà e della mancanza d’istruzione. Questi ragazzi non osano seguire i loro sogni, quando ne hanno. Ho realizzato il progetto con la mia compagna artista e scrittrice Kuukua. L’idea iniziale era lanciare una campagna per aiutare ragazze e ragazzi ad andare a scuola, ma non avevo i mezzi per farlo. Così ho deciso di fotografare loro e le condizioni in cui vivono. Ho messo le foto su Instagram, sperando di attirare l’attenzione. Alcuni mesi dopo ho deciso di aprire una pagina GoFundMe per raccogliere fondi e permettere ad alcuni di questi ragazzi di studiare e realizzare i loro sogni”. ◆ adr
◆ Il lavoro di Prince Gyasi è esposto al festival Kyotographie, in Giappone, dal 4 aprile al 5 maggio, al Delta Kyotographie permanent space.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati