A marzo in Turchia l’inflazione ha battuto un nuovo record raggiungendo il 70 per cento. A questo risultato ha contribuito il forte rincaro dei costi di produzione nell’agricoltura, un settore che assicura il 7 per cento del pil nazionale ed è un pilastro delle esportazioni, scrive il Financial Times. “Mahmut Çam, un coltivatore della provincia agricola di Hatay, al confine con la Siria, racconta che un anno fa spendeva circa tremila lire turche (189 euro) per fare il pieno di benzina diesel ai suoi cinque trattori. Oggi ha bisogno di tredicimila lire. Negli ultimi tempi, inoltre, il prezzo dei pesticidi e dei fertilizzanti è quadruplicato”. L’aumento dei costi di produzione non è l’unico problema degli agricoltori turchi, aggiunge il quotidiano finanziario britannico: “I coltivatori sono letteralmente stritolati dai supermercati, che a causa della pressione del governo sono costretti a contenere i prezzi, e dagli intermediari, che sempre più spesso sfruttano la situazione per arricchirsi. E così, mentre i sussidi pubblici all’agricoltura sono da tempo accusati da istituzioni come l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) di distorcere il mercato, gli agricoltori turchi ora ne vogliono di più per cercare di contenere il rincaro dei costi di produzione”. L’aumento dei prezzi, in realtà, nasconde profondi problemi strutturali: l’agricoltura turca è arretrata tecnologicamente e riesce a realizzare buoni risultati solo grazie all’uso intensivo di prodotti come i fertilizzanti e i pesticidi. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1460 di Internazionale, a pagina 116. Compra questo numero | Abbonati