Gli eventi del 20 ottobre 2022 meritano di finire tra le pagine nere della storia del Ciad. Quel giorno decine di persone sono morte nella capitale N’Djamena e a Moundou, nel sud del paese, durante le proteste provocate dalla decisione di prolungare di due anni il periodo di transizione verso la democrazia, e quindi la permanenza al potere di Mahamat Idriss Déby. Mahamat è il figlio dell’ex presidente Idriss Déby Itno, ucciso sul campo di battaglia nell’aprile 2021, e alla sua morte l’ha immediatamente sostituito per volontà dell’esercito.
Sul bilancio delle vittime, i conteggi divergono: il principale oppositore di Déby figlio, Succès Masra, leader del partito Les transformateurs, parla di settanta morti; il capo del governo appena insediato, Saleh Kebzabo, di una cinquantina. Il minimo che si possa dire è che l’accoppiata Déby-Kebzabo è partita male. Secondo la chiesa cattolica, “è la prima volta nella memoria dei ciadiani che la repressione violenta di una manifestazione causa un numero così alto di morti”. Le due parti si accusano a vicenda: per i dissidenti e alcune organizzazioni per i diritti umani, la responsabilità è della soldataglia di Déby; per le autorità, è degli organizzatori della manifestazione, in particolare di Masra e di Yaya Dillo, un altro oppositore. Il premier Kebzabo gli ha attribuito un “tentato colpo di stato”.
Possiamo anche riconoscere le responsabilità di entrambe le parti, ma la più grande è del regime, in particolare di Mahamat Idriss Déby, la cui ascesa è la radice dei mali del paese. Il 20 ottobre i manifestanti si sono ribellati contro il suo piano per mantenere il potere.
Nessuno può negare ai ciadiani il diritto di opporsi ai piani della dinastia Déby e dei suoi alleati. L’ambasciatore del Ciad a Parigi ha commentato che il potere non si prende “per la strada”, ma alle urne. Ma tutti gli osservatori lucidi e imparziali della politica ciadiana sanno che nel paese il potere non viene dalle urne, ma “dalla canna del fucile”, per riprendere una famosa frase di Mao Zedong. Nel caso dei Déby anche dai legami di sangue.
Nessuna condanna
Mahamat Idriss Déby ha appena causato le sue prime morti. Che probabilmente, nella logica di conquista che lo contraddistingue, non saranno le ultime. Per fermarlo non possiamo contare sui suoi colleghi dittatori che fanno parte della Comunità economica degli stati dell’Africa centrale. Finché Denis Sassou Nguesso, in Congo, e Teodoro Obiang Nguema, in Guinea Equatoriale, resteranno in carica, Déby non rischia nessuna strigliata dall’organizzazione. Perché loro, nei rispettivi paesi, hanno fatto di peggio. Per costringere Déby alla moderazione bisogna appellarsi alla comunità internazionale, in particolare a Stati Uniti e Francia.
Dopo le uccisioni del 20 ottobre, secondo alcuni resoconti Déby ha fatto trasferire in altre città decine di persone fermate alle manifestazioni. Di questo passo rischia di fare peggio del padre e del suo predecessore, lo spietato Hissène Habré. Ma dovrebbe ricordare che le violazioni dei diritti umani tornano spesso a perseguitare chi le ha commesse. ◆ fdl
◆ Centinaia di ciadiani sono scesi in piazza a manifestare in varie città il 20 ottobre 2022, il giorno in cui era previsto che Mahamat Idriss Déby, il figlio dell’ex presidente, cedesse il potere. Tuttavia, a inizio ottobre, al termine degli incontri del dialogo nazionale inclusivo, Mahamat è stato riconfermato fino al 2024. Dopo le proteste, il presidente ha ordinato la sospensione delle attività di sette partiti. The New Arab
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Questo articolo è uscito sul numero 1484 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati