“I palestinesi d’Israele sono rimasti ampiamente fuori dalle proteste che alla fine hanno costretto il primo ministro Benjamin Netanyahu ad annunciare una sospensione temporanea della riforma proposta dai suoi alleati dell’estrema destra e ultrareligiosi”. Così commenta Al Araby al Jadid, sostenendo che per gran parte dei palestinesi la crisi “non è una battaglia per portare una vera democrazia a tutti i cittadini del paese, ma per consolidare una democrazia per gli ebrei che perpetuerà la disuguaglianza e l’occupazione”.
Secondo il giornale panarabo, una conferma di questo viene dal fatto che per tenersi il sostegno del suo alleato Itamar Ben Gvir, ministro della sicurezza nazionale, che aveva minacciato di dimettersi se la riforma fosse stata rinviata, Netanyahu gli ha promesso la formazione di una guardia nazionale sotto il suo controllo. “Molti palestinesi hanno reagito alla notizia con scherno, affermando che la crisi interna d’Israele è stata risolta a loro spese”. L’Associazione per i diritti civili in Israele, la più antica organizzazione per i diritti umani del paese, ha avvertito del pericolo che “una milizia privata e armata sotto il diretto controllo di Ben Gvir” agirà “soprattutto nelle città miste e contro la popolazione palestinese”, e contro la protesta.
Un editoriale del giornale Al Quds al Arabi nota che “purtroppo, in mezzo ai tumulti, è davvero raro trovare una voce israeliana che colleghi l’attuale crisi alle politiche di occupazione, agli insediamenti illegali e all’estrema violenza contro i palestinesi in Cisgiordania, a Gerusalemme o nella Striscia di Gaza”.
In un articolo sul sito palestinese 180post, Marwan Barghouti, figura di punta dell’opposizione e attualmente in carcere, afferma che, pur dichiarandosi uno stato democratico, “Israele finirà per escludere non solo tutti i palestinesi, ma anche le correnti politiche israeliane che si oppongono all’attuale governo fascista”. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati