Tre mesi dopo le elezioni, la Thailandia ha un primo ministro. Srettha Thavisin (nella foto), imprenditore candidato dal partito Pheu Thai, è stato eletto dal parlamento il 22 agosto. Thavisin non è stato votato da Move forward, il partito progressista che a maggio aveva ottenuto il maggior numero di seggi ma il cui candidato premier, Pita Limjaroenrat, era stato prima bocciato dal parlamento e poi escluso da una possibile ricandidatura. Il Pheu Thai, arrivato secondo alle elezioni di maggio, ha così formato un’alleanza con due forze conservatrici e filomilitari per sostenere Thavisin. Poche ore prima del voto in parlamento, il fondatore del partito, Thaksin Shinawatra, atterrava in Thailandia mettendo fine a 15 anni di esilio volontario. “Per me è il momento di stare con i tailandesi”, ha detto Shinawatra. L’ex premier, 74 anni, dovrebbe scontare una condanna a otto anni per corruzione. Ora si trova nel carcere di Bangkok in attesa della libertà su cauzione o del perdono reale, riservati ai condannati con più di settant’anni. Secondo Thitinan Pongsudhirak, direttore dell’istituto di sicurezza e studi internazionali all’università Chulalongkorn di Bangkok, “finché il problema Thaksin non sarà risolto, non ci sarà riconciliazione tra la sua fazione populista da un lato e i conservatori e l’establishment militare dall’altro”. Ma il ritorno dell’ex premier, scrive Nikkei Asia, potrebbe danneggiare le credenziali democratiche del Pheu Thai, che ha già perso elettori riformisti a causa di Move forward. “Il successo del Pheu Thai è sempre stato legato alle divisioni di classe e geografiche, ma ora al centro della politica tailandese ci sono le riforme strutturali”, spiega Thitinan. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1526 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati