Il secondo romanzo di Namwali Serpell è un’elegia. Un giorno, al mare, quando Cassandra – detta C – ha dodici anni, avviene un incidente terribile e inspiegabile e il suo fratellino, Wayne, di sette anni, è perso per sempre: il suo corpo non sarà mai ritrovato. La famiglia convive con questo trauma; la madre, che nega la morte di Wayne, crea Vigil, una fondazione che si occupa di bambini “scomparsi”, e il padre se ne va. Anche quando Cassandra diventa maggiorenne è inseguita dallo spettro del fratello. Con un abile stratagemma, Serpell continua a riportare indietro le lancette dell’orologio, reimmaginando ogni volta la scena dell’ultimo giorno sulla spiaggia. Wayne che muore in un incidente d’auto. Wayne che è catapultato da una giostra. Il lettore si chiede: come è morto davvero? È morto davvero? “Non voglio dirvi cosa è successo. Voglio dirvi come mi sono sentita”, dice Cassandra. L’ambientazione della storia, tra spiagge, strade e aeroporti, è secondaria rispetto alle emozioni che suscita. Cassandra non smette mai di soffrire. Poi c’è un altro incidente. Da giovane donna incontra un uomo di nome Wayne che le ricorda suo fratello in modi che non riesce a razionalizzare. Quella che segue è una storia sulla scivolosità della vita, che s’interroga sulle emozioni legate al ricongiungimento e alla redenzione e all’identità meticcia. Possiamo riscrivere la morte? Possiamo riscrivere la vita? Possiamo amare di nuovo, dopo una perdita?
Sana Goyal,
Financial Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1537 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati