Prima di leggere Fantasmi di New York pensavo che dire “La città stessa è un personaggio del romanzo” fosse un luogo comune. Questa ammaliante raccolta di episodi vagamente legati tra loro mette in discussione tutti i cliché sullo scrivere di una città. La metropoli pulsante di Fantasmi di New York è così straripante da rendere impensabile che i suoi abitanti possano avere la minima possibilità di essere felici, o anche solo soddisfatti. Eppure sono lì che continuano a provarci. Incontriamo un mercante d’arte indigena che perde attività e reputazione per amore di una donna; il figlio di una ricca famiglia dell’Africa occidentale, formato alla Columbia university, perseguitato dalle ombre del passato; un ragazzo di strada dell’East Village con una voce così pura da sembrare già destinato alla fama; un fotografo che torna in città dopo un decennio all’estero e affronta il ricordo del suo migliore amico. Quando queste vite e altre cominciano sottilmente a intrecciarsidalla cacofonia urbana emerge una sorta di senso etico: nel nostro mondo di disconnessione, solitudine e desiderio siamo sempre tutti interconnessi. Perché ci tiene insieme la grande città, che dà e toglie e che alla fine sopravviverà a tutti quanti noi. Le frasi di Lewis sono eventi e il suo occhio per il dettaglio più minuscolo è sopraffino. Allo stesso tempo ammanta la sua New York di un impercettibile strato di sotterfugio. Ed è esattamente così che si vive a New York.
David Goodwillie, The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1549 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati