Il termine bling nella cultura hip-hop indica i gioielli e gli accessori ostentati dai rapper. Il termine cominciò a diffondersi nel 1999, dopo l’uscita della canzone Bling bling dello statunitense B.G., e nel 2003 è stato incluso nell’Oxford English dictionary.
Al di là della loro funzione decorativa e rappresentativa, i gioielli sono sfoggiati anche per questioni più personali, perché trasmettono per esempio “un’energia privata, un senso di potere illimitato”, spiega lo scrittore e critico musicale statunitense Daniel Levin Becker in un articolo uscito sul New York Times. Spesso molto vistosi, sono scelti anche per comunicare un’idea, una storia, una presa di posizione, attraverso un simbolo che in modo a volte provocatorio vuole arrivare al grande pubblico.
Da quando il rap è nato, nel quartiere newyorkese del Bronx negli anni settanta, i gioielli hanno sempre avuto una grande importanza, affiancandosi all’evoluzione del genere musicale: “Nel tempo hanno raccontato l’ascesa dell’hip-hop attraverso un panorama dei mezzi d’informazione che si è trasformato, in cui gli artisti hanno imparato da un lato a celebrare il fatto di essere giovani, ricchi e neri, e dall’altro a fare i conti con un lavoro in cui sono fotografati e filmati continuamente”, ha scritto Becker.
Alcuni gioielli indossati da rapper famosi sono stati ritratti dalla fotografa Jessica Pettway, soprattutto tra New York e Los Angeles, in California. Si tratta a volte di pezzi unici, realizzati per sancire un legame con un’etichetta discografica. Altre volte sono dei prestiti, altre ancora dei falsi, come la celebre corona indossata da Notorious B.I.G. durante un servizio fotografico pochi giorni prima della sua morte, che era di plastica e costava circa sei dollari. Nel 202o quel finto gioiello è stato venduto all’asta per quasi 600mila dollari. ◆
Jessica Pettway è una fotografa e regista statunitense che vive tra New York e Los Angeles.
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati