Il sottotitolo del libro di Adrien Gombeaud potrebbe essere: “Breve recensione dell’uso del tabacco sul grande schermo”. Un argomento curioso per l’autore, giornalista e critico cinematografico, che non ha mai fumato in vita sua. È la storia di un lungo sodalizio e anche di un distacco, perché oggi, in tempi di igiene, le sigarette sono scomparse dagli schermi. Comunque il libro non vuol fare la morale a nessuno e liquida anche velocemente la collusione tra industrie (cinematografica e del tabacco). Ma non dimentica la sociologia, che in particolare nel cinema francese usa la sigaretta come segno di distinzione (La grande illusione), di rito di passaggio (Zero in condotta) e di definizione di un personaggio. Non solo la sigaretta, ma anche il sigaro di Groucho Marx, la pipa di Jacques Tati, il portasigarette di Audrey Hepburn; insomma il tabacco, prolunga il gesto, la mano e la bocca dell’interprete, sospende il tempo. Gombeaud sottolinea più volte un paradosso: un momento effimero, che lascia solo cenere, ma che dà sostanza al cinema. Libération
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati