I primi due libri di Elif Batuman, I posseduti, un memoir, e L’idiota, un romanzo, prendevano il titolo da Dostoevskij. Il terzo, Aut-aut, lo prende da Kierkegaard. Batuman ha il dono di far sembrare la vita quel seminario letterario benevolo e intelligente che tutti vorebbero. La narratrice, Selin, studia ad Harvard ed è ossessionata dal libro di Kierkegaard e dalla dicotomia che traccia tra una vita etica e una estetica. Selin era già comparsa nell’Idiota. Era ancora una matricola e si era innamorata di Ivan “un ungherese alto due metri con occhi che sembrano trapassare l’anima”. Selin è andata con lui in Ungheria e l’esperienza l’ha lasciata perplessa. Aut-aut racconta un anno di vita di una studente colta e ambiziosa del 1996. Leggiamo quello che legge lei: Puškin, Babel’, Freud, Čechov e, per lei meno felicemente, Martin Amis. La vediamo confrontare senza pietà la sua vita con quello che legge nei libri. Questo romanzo conquista per le sue mille minuziose osservazioni. I dipartimenti in cui è divisa Harvard le sembrano senza senso: si chiede per esempio perché non esista un dipartimento dell’amore. Il cervello però non è l’unico organo in questo romanzo. Una per una tutte le amiche e le compagne di stanza di Selin si accoppiano e lei lo detesta. È convinta che quando le persone si mettono insieme significa solo che in giro ci sarà soltanto più gente noiosa. Del sesso pensa: “Non sarebbe bellissimo se trovassimno eccitante qualunque altra cosa?”. E quando comincia a fare sesso anche lei è una tale osservatrice che alcune scene sono davvero meravigliose. Il sesso porta presto a nuovi problemi. Gli uomini che ammira nei romanzi, quelli dedicati alla vita estetica, finiscono sempre per “rovinare” le ragazze prima di mollarle. Qual è la lezione che una donna deve trarre? Deve indurirsi? È un cucciolo di tigre che porta a casa la sua prima preda? Selin vorrebbe diventare scrittrice ma ha paura di non riuscire a creare personaggi che non siano lei stessa. In effetti Batuman, nei suoi tre libri, ha sempre scritto di sé come un mollusco che secerne la sua stessa conchiglia. Quando scrivi bene come scrive lei ci sono destini peggiori. Ma dunque, vita etica o vita estetica? Kierkegaard lo dice chiaramente: avremmo dei rimpianti in ogni caso. Dwight Garner,
The New York Times
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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati