Nato in Romania e morto a Parigi, George Enescu (1881-1955) era violinista tra i massimi del suo tempo, pianista, direttore d’orchestra e pedagogo. È stato anche un compositore prolifico, di cui oggi capita di sentire soprattutto i capolavori assoluti come l’opera Œdipe, la sonata per violino e piano n. 3 e le due rapsodie romene, che hanno avuto un ruolo fondamentale per la sua reputazione. Non capita spesso invece d’incontrare le sue tre sinfonie, composte tra il 1905 e il 1918. Malgrado la forma e la sintassi convenzionali, Enescu dà a questi lavori un tono da poema sinfonico, del quale in un primo momento è difficile cogliere la coerenza. Emerge l’influenza della musica tedesca (Brahms, Richard Strauss) e francese (Franck, Roussel, Debussy, Ravel), ma anche a tratti quella di Dvořák, Mahler, Čajkovskij, Liszt o Skrjabin. Il genio di Enescu fonde queste eco stilistiche in un’alchimia alimentata da generosità espressiva e intensità lirica, con una poesia epica o introversa. E ogni nuovo ascolto ne conferma l’autenticità. In questo album Cristian Măcelaru rende omaggio al suo compatriota insieme all’Orchestre national de France, svettando sulla sua concorrenza discografica delle altre integrali sinfoniche del maestro romeno.
Gérard Belvire, Classica
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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati