Il 19 maggio nella capitale congolese Kinshasa una cinquantina di uomini armati ha fatto irruzione nella casa del vicepremier Vital Kamerhe e nella sede della presidenza. Sono stati fermati dalle forze di sicurezza, che hanno ucciso sei degli aggressori (tra cui il capo, Christian Malanga, congolese rifugiato negli Stati Uniti) e arrestato il resto del gruppo, di cui facevano parte anche tre statunitensi, tra cui il figlio di Malanga. Dopo il “colpo di stato mancato”, scrive il quotidiano di Kinshasa Forum des As, le autorità non hanno decretato il “coprifuoco né misure d’isolamento”, contrariamente a quanto affermano alcune voci in circolazione. Secondo fonti locali gli aggressori venivano da Brazzaville, sulla sponda opposta del fiume Congo, e sventolavano la bandiera dello Zaire, com’era chiamata la Rdc sotto la dittatura di Mobutu Sese Seko (1965-1997). Ad alcuni osservatori il presunto golpe è apparso poco “professionale”, visto che gli aggressori non hanno cercato di occupare infrastrutture nevralgiche o centri di potere, e non conoscevano l’indirizzo di alcuni obiettivi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati