Shelly Kupferberg (dpa picture alliance/Alamy)

Isidor non è il nome che i genitori hanno dato al bambino che nacque in un villaggio aschenazita vicino a Leopoli sul finire dell’ottocento. È il nome che quel bambino si è dato quando è cresciuto e si è convinto di essere destinato a una vita più grandiosa. Una vita di denaro, musica, arte e molti amori nel cuore di una grande metropoli. Nel 1908 Israel ha preso un treno per Vienna con i suoi fratelli e da allora è diventato Isidor. La scrittrice Shelly Kupferberg racconta in modo vivace e commovente la storia dell’uomo che fu il dottor Isidor Geller nei suoi anni più felici. Lei è la sua bisnipote e Isidor è il suo romanzo di debutto. Kupferberg nasce come giornalista e lavora come una giornalista: ha fatto ricerche tra vecchie soffitte, album di famiglia, corrispondenza e archivi per ricostruire la vita che i nazisti hanno distrutto nel 1938 con la cosiddetta annessione dell’Austria. La collezione d’arte di Isidor Geller, i suoi libri, i tappeti e le porcellane furono confiscati. Lui fu arrestato e torturato in quanto ebreo e costretto a dare via tutti i suoi beni. Come eredità ha lasciato solo delle posate: un servizio d’argento per 24 persone. Isidor Geller amava dare grandi cene nel suo palazzo sul Ring di Vienna. Uno degli ospiti abituali più giovani era suo nipote Walter Grab, il nonno dell’autrice. Walter riuscì a fuggire nel 1938 e in seguito è diventato uno storico e ha fondato l’istituto di storia tedesca dell’università di Tel Aviv. In Isidor Kupferberg racconta due storie: una avventurosa e una terribile, una trasformazione e un omicidio. Una delle sorprese emerse dalle ricerche è che il suo prozio non era solo un ottimo avvocato e un uomo d’affari che accumulò una fortuna, ma anche un impostore che immaginava di vivere in un mondo più grande, più artistico e più magnifico di quello in cui viveva nella realtà. Ovviamente aveva sottovalutato i nazisti e la crescente onda di antisemitismo, ma non aveva mai smesso di sognare in grande. Una delle sue ultime lettere fu per l’attrice e cantante ungherese Ilona Hajmássy (poi Massey), sua vecchia fiamma, che lui aveva riempito di soldi e d’idee e che non avrebbe mai visto recitare a Hollywood accanto ai Fratelli Marx e a Marilyn Monroe in Una notte sui tetti nel 1949. Julia Voss, Frankfurter Allgemeine Zeitung

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Questo articolo è uscito sul numero 1568 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati