All’inizio del romanzo, che ha fatto vincere a Jane Smiley il premio Pulitzer nel 1992, la narratrice, una donna di nome Virginia Cook Smith, descrive la fattoria di Zebulon County, nello stato dell’Iowa, in cui è cresciuta con le sue sorelle, Rose e Caroline: “Pagata fino all’ultimo centesimo, senza oneri, piatta e fertile, nera, friabile ed esposta come qualunque altro appezzamento al mondo”. E poi arriva la terribile consapevolezza. Nel 1979 il padre, Larry Cook, decide di dare a ognuna delle figlie un terzo della proprietà. E lì comincia una tragedia di ingratitudine e conflitti generazionali. La mente del lettore vola a Shakespeare e si chiede fino a che punto l’autrice possa portare avanti i paralleli con la tragedia del Re Lear. Smiley ha tutta l’intenzione di portarli molto lontano. In Erediterai la terra tutta la cattiveria si scatena quando gli esseri umani tentano di imbrigliare la natura. Si può dire che il veleno che in Shakespeare uccide Regan, qui danneggia l’intera comunità. Il fantasma delRe Lear, in queste pagine, serve lo scopo di dare a quello che potrebbe sembrare un fosco melodramma della prateria la dimensione della tragedia classica correndo il grande rischio di ricordarci che titanica opera d’arte sia il suo modello. Ma alla fine la narrazione romanzesca ci guadagna anziché perderci, anche solo perché lo leggiamo con due sguardi diversi che finiscono per completarsi in modo molto soddisfacente.
Christopher Lehmann-Haupt, The New York Times (1991)

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Questo articolo è uscito sul numero 1585 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati