Sono passati più di cinque anni dall’uscita dell’ultimo album dei Bon Iver, I, I. E forse è questo il motivo per cui il nuovo ep del progetto dello statunitense Justin Vernon, intitolato Sable, si apre con un lungo suono acuto che sembra quello di una sirena, quasi a risvegliare l’ascoltatore. Poi arrivano le percussioni soffici e la chitarra suonata in finger picking di Things behind things behind things, che aprono la strada al baritono di Vernon. Le riflessioni su natura, nostalgia, relazioni e religione hanno vissuto a lungo nel cuore dei Bon Iver. Le abbiamo ascoltate per la prima volta nell’album di debutto For Emma, forever ago, registrato nel 2007 in una baita nei boschi del Wisconsin. Da allora sono cambiate molte cose, ma Vernon non si è mai sentito a suo agio con la grande fama raggiunta. E questo ep è stato preceduto da una crisi artistica che l’ha portato a pensare di ritirarsi dalle scene. Forse è per questo che nei tre brani si percepiscono una certa angoscia e paura dei cambiamenti. Il pezzo Spey­side è un ritorno alle origini uomo-chitarra che si sarebbe adattato bene al debutto, anche se manca il falsetto che accompagna le vecchie canzoni. Il problema è che questo ritorno alle origini avviene a metà. La canzone finale, Awards season, è più poesia che melodia. Justin Vernon probabilmente pensa di aver resettato tutto. Per tutti gli altri, forse, c’è ancora qualcosa da fare.
Dave Campbell, Associated Press

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Questo articolo è uscito sul numero 1586 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati