Fino a poco tempo fa Ali Kony, un elegante uomo ugandese poco più che trentenne, era pronto a prendere il posto di suo padre a capo di un gruppo armato che per la maggior parte degli ultimi quarant’anni ha seminato il terrore nell’Africa centrale e orientale. Ma quando l’ho incontrato una mattina del 2024, l’ho trovato accomodato su un consumato divano beige in una piccola casa in una tranquilla cittadina ugandese. Decorazioni natalizie rosa, viola e verdi pendevano dalle pareti e i figli di Ali correvano dentro e fuori dall’abitazione, mostrando i compiti al loro padre orgoglioso.

A quanto pare, Ali aveva scelto una strada diversa. “Sono cresciuto lì, i miei figli sono nati lì, ho passato tantissimo tempo in quel luogo”, ha detto parlando dei campi di miliziani dove ha vissuto quasi fin dalla nascita. “Ho pensato di cominciare un’altra vita”.

Nato nella prima metà degli anni novanta, fino a poco tempo fa Ali è stato uno dei leader principali dell’Esercito di resistenza del Signore (Lra), il gruppo creato nell’Uganda settentrionale nella seconda metà degli anni ottanta e guidato dal sedicente medium Joseph Kony.

Ali era uno dei figli più vicini a Kony ed era il “ministro degli esteri” dell’Lra. Ha partecipato ai lunghi negoziati per gli accordi di pace con altri gruppi armati e ha gestito i traffici d’avorio con i commercianti cinesi e yemeniti.

Tuttavia, la vita privilegiata all’interno dell’Lra – un tempo una delle milizie ribelli più tristemente note del mondo – non era quella che Ali desiderava. Quattro anni fa è sgattaiolato via da un campo dell’Lra, trascorrendo prima un periodo in una città di confine sudanese per poi tornare in Uganda, alla metà del 2023, dove ha incontrato il presidente Yoweri Museveni ed è entrato nell’esercito nazionale.

La storia della tumultuosa defezione di Ali e di quello che si è dimostrato un difficile ritorno a casa è indicativa della storia dell’Lra più in generale.

Negli ultimi dieci anni centinaia di miliziani hanno compiuto una scelta simile a quella di Ali, abbandonando l’Lra e lasciando Joseph Kony con poco più di una trentina di combattenti superstiti. Il gruppo ribelle era nato per rovesciare il governo di Museveni ed era noto per i suoi atti di violenza estrema. Oggi, però, ha problemi più prosaici: cercare di non scomparire.

La defezione di Ali è però più significativa perché dimostra che si sta sgretolando anche la cerchia più stretta del leader Joseph Kony. Segno che una delle insurrezioni armate più longeve dell’Africa è ormai arrivata alle battute finali. Quanto tempo le resti davvero, però, nessuno può dirlo.

Anche se Joseph Kony sta invecchiando ed è malato di diabete, è ancora considerato dal figlio e da altri guerriglieri (sia fedeli sia transfughi) una figura messianica con grandi poteri politici e spirituali. E mentre l’Lra è stato quasi del tutto sconfitto, i racconti di Ali su come sopravvive il gruppo dimostrano quanto sia incredibilmente ostinato lo zoccolo duro dei combattenti rimasti.

È stato portato a vivere in mezzo ai ribelli quando aveva sei mesi. Da allora in poi ha sentito parlare della vita in città solo da sua madre

Altre idee

La vita di Ali in Uganda di fuori dell’Lra serve per capire quali sfide devono affrontare gli ex combattenti. In passato aveva una grande autorità, ma oggi nella comunità locale le persone sanno a malapena chi è. I suoi figli hanno avuto problemi di salute dopo aver mangiato alimenti per loro insoliti e soffrono il freddo, al quale non sono abituati.

Eppure non si pente della sua decisione di essere andato via. “Amo mio padre e mi sarebbe piaciuto stare con lui”, ha detto. “Ma ho le mie idee. Voglio vedere altre città, magari viaggiare in paesi dove nessuno può spararti o arrestarti”.

L’ho incontrato in una casa in affitto nella cittadina di Gulu, nel nord dell’Uganda, che in passato è stata il centro della guerra dell’Lra. I ribelli affermavano di proteggere la popolazione locale degli acholi dal regime di Museveni, ma spesso si sono scagliati contro la loro stessa comunità, guidati da una violenta ideologia pseudoreligiosa.

Ben presto nella storia di questo movimento ribelle la violenza è diventata una cosa fine a se stessa. Secondo le Nazioni Unite il gruppo è responsabile della morte di più di centomila persone e del rapimento di circa centomila bambini. La Corte penale internazionale nel 2005 ha emesso i primi mandati d’arresto contro Kony e altri comandanti. Tutti li hanno descritti come l’incarnazione del male.

Nel corso del tempo l’Lra è stato spinto fuori dall’Uganda, verso i paesi vicini. Ulteriori pressioni militari hanno frammentato il gruppo e una legge ugandese sull’amnistia ha incoraggiato le defezioni. Il suo messaggio politico ha attraversato fasi alterne; le rivendicazioni sull’emarginazione degli acholi e degli abitanti dell’Uganda settentrionale emergevano soprattutto durante i negoziati di pace. Nel frattempo il numero dei ribelli continuava a diminuire. Gli esperti scherzavano sul fatto che ormai c’erano più studiosi dell’organizzazione che combattenti.

Tuttavia il gruppo è rimasto attivo, sopravvivendo in una zona contesa difficile da raggiungere, l’enclave del Kafia Kingi, che si trova al confine tra la regione sudanese del Darfur e la Repubblica Centrafricana. Per sfuggire alla cattura l’organizzazione ha continuato a spostarsi e ha modificato il suo modo di operare, riducendo i sequestri e i saccheggi e puntando sull’agricoltura e i traffici illeciti. Nel corso di questa transizione Ali Kony è diventato una figura centrale, coltivando le reti commerciali e integrando l’Lra in un mondo criminale basato sul mercato nero, che ha aiutato il movimento a operare in forma clandestina. La sua è dunque anche la storia dell’Lra 2.0, una vicenda che sfida gli stereotipi su un gruppo spesso avvolto dalla segretezza.

Nel Kafia Kingi dal 2010 si è stabilita la base di retroguardia dell’Lra. Ali si occupava di reperire l’avorio dai commercianti locali e dai cacciatori della zona, che “uccidevano gli elefanti, ci portavano le zanne e ce le vendevano”. Ali trafficava con intermediari di tutto il mondo. Era “un business fiorente”, ha osservato.

Ai soldi fatti con l’avorio si aggiungevano i guadagni derivanti dall’oro (che lui comprava dai mercati in Darfur e rivendeva ai commercianti sudanesi) e dalla marijuana, che acquistava da coltivatori locali e vendeva a trafficanti di più alto livello.

La vita dei miliziani aveva anche un lato più ordinario. Il gruppo coltivava manioca, mais, fagioli e zucche, e vendeva miele alla gente del posto. Le api venivano cacciate dagli alveari usando il fuoco (“facendole ubriacare, così scappano e non ti pungono”, ha spiegato Ali) e i caricatori dei lanciarazzi: “Togli il caricatore, lo lanci nell’alveare, così le stordisci e le rendi innocue. Puoi addirittura metterci la mano dentro”, ha aggiunto.

Nel frattempo lavorava come “ministro degli esteri” dell’Lra, ruolo confermato da altri ex combattenti del movimento e dovuto anche alla sua ottima padronanza dell’arabo e dai suoi vari soprannomi (“Bashir”, come l’ex dittatore del Sudan, oggi deposto, e “Caesar”, come il generale romano Giulio Cesare).

Ali ha spiegato che tra i suoi compiti c’era anche quello di siglare patti di non aggressione con altri gruppi armati. Alcuni di questi accordi riguardavano il commercio e lo scambio d’informazioni e protezione, e per Ali rientrano tra i suoi più grandi successi con l’Lra.

Naturalmente non tutto quello che riguardava l’Lra è cambiato in quel periodo. I rapimenti e i saccheggi continuavano, mentre lui e gli altri restavano fedeli a Joseph Kony. Ali ha raccontato che suo padre aveva previsto il covid-19 e aveva perfino condiviso una premonizione della sua futura vita a Gulu.

Ma anche se Ali e altri avevano permesso al gruppo di trasformarsi e di sopravvivere nelle pericolose zone di confine, la vita continuava a essere difficile. Gli eserciti ugandese e statunitense hanno continuato a dare la caccia all’organizzazione fino al 2017, e gli scontri a fuoco con altre milizie erano frequenti. Le defezioni avvenivano regolarmente. E anche Ali cominciava a considerare delle alternative.

Parlando dei motivi che alla fine l’hanno spinto ad andarsene, Ali ne cita due: il desiderio di costruire un’altra vita per sé e i suoi figli, e un conflitto tra suo padre e sua madre (che viveva con il gruppo nel Kafia Kingi). Non è chiaro cosa riguardasse questo contrasto, ma lui aveva pensato che probabilmente la loro incolumità fosse a rischio.

Città di confine

Le circostanze della fuga sono confuse, ma Ali ha raccontato che lui e la sua famiglia (quattro figli, sua moglie e sua madre) se la sono svignata in segreto di notte, allontanandosi a piccoli gruppi per non destare sospetti.

Anche le sue mosse successive sono state insolite. La maggior parte degli ex appartenenti all’Lra si consegna alle autorità locali nel luogo stesso in cui ha disertato. Ali e la sua famiglia invece hanno viaggiato fino a Songo, una città del Darfur, a ottanta chilometri di distanza dal campo da cui erano fuggiti.

Ali conosceva bene Songo. In passato era stata una normale zona di mercato, ma la scoperta dell’oro in anni recenti ne aveva fatto una città di confine in forte espansione. Dal momento in cui l’Lra si era stabilita nel Kafia Kingi, lui e altri miliziani erano soliti andare lì per i loro commerci.

La vita di Ali a Songo somigliava a quella che si era lasciato alle spalle. Trafficava oro e cannabis, facendo da intermediario. A Songo era titolare di negozi, coltivava sorgo (un tipo di cereale), arachidi e sesamo, e ha perfino lavorato come tassista. Non è chiaro quanto tempo prevedesse di restare in Darfur (o se effettivamente volesse andarsene), ma gli eventi gli hanno forzato la mano quando nell’aprile del 2023 in Sudan è scoppiato il conflitto tra le Forze di supporto rapido (Rsf, un gruppo paramilitare che ha la sua roccaforte nel Darfur) e l’esercito sudanese.

Ali e la sua famiglia allora sono entrati nel Sud Sudan e hanno cominciato il viaggio verso la capitale Juba. “Lungo il tragitto abbiamo incontrato molte difficoltà”, ha ricordato. “Non sapevamo dove dormire, come pagare il cibo, e uno dei nostri bambini si era ammalato di malaria”.

Alcune settimane dopo essere arrivato a Juba aveva finito i soldi, così è andato all’ambasciata ugandese, dove si è presentato come un imprenditore che lavorava in Sudan, e non come il figlio di Joseph Kony. Lo stratagemma ha funzionato e ha ottenuto un permesso di viaggio. Poco dopo era sulla strada per Gulu.

Ali è nato a Gulu, ma è stato portato a vivere in mezzo ai miliziani dell’Lra quando aveva solo sei mesi. Ha sentito parlare della vita in città solo da sua madre, e da altri visitatori che arrivano per incontrare il gruppo nella foresta nel corso dei vari negoziati di pace con il governo ugandese.

Le sue aspettative per il ritorno erano alte, come accade per molti ex combattenti, che dopo un’esistenza isolata spesso hanno una visione irrealistica della vita fuori dall’organizzazione.

Quando l’ho incontrato lo scorso anno, l’ex guerrigliero si trovava in una specie di limbo, in attesa di un nuovo inizio in una casa in affitto dove l’elettricità andava e veniva.

Qualche mese prima era stato invitato nella residenza del presidente Museveni, che gli aveva fatto una serie di promesse: circa dodici ettari di terra, una fattoria e case per la sua famiglia. “Il presidente ci ha accolti dicendoci che potevamo sentirci a casa, che questo è il nostro paese”, ha raccontato.

Ma quelle promesse sono rimaste tali. Tre mesi dopo Ali ha tenuto una conferenza stampa chiedendo a Museveni di mantenere la sua parola. Sua moglie Selly (che è congolese ed era stata sequestrata dall’Lra) aveva dichiarato che la famiglia “la sera va a dormire con la fame, o sopravvive con un solo pasto al giorno”.

L’esperienza di Ali non è insolita per gli ex combattenti dell’Lra. Certo, il gruppo ha ancora una reputazione mitologica in Uganda, e Museveni ritiene politicamente utile riportare in patria gli ex miliziani, ma raramente il presidente rispetta le sue promesse. E anche se l’Uganda ha una legge di amnistia per gli appartenenti al gruppo che riflette la generosità della società acholi, i fuoriusciti dell’Lra sono ancora discriminati: i loro figli a scuola sono spesso considerati dei piantagrane e le donne hanno difficoltà a sposarsi o a risposarsi.

Ali non ha subìto discriminazioni, ma ha fatto fatica ad adattarsi. “Quando sono tornato ho provato ad adeguarmi, ma è stato difficile”, ha raccontato. “Nell’Lra avevo una posizione di rilievo, ed essendo il figlio del capo tutti gli altri mi rispettavano”.

Una possibilità di lavoro che spesso si presenta ai transfughi è quella di arruolarsi nell’esercito ugandese, che tende a considerare gli ex Lra come dei combattenti disciplinati. In un’intervista Ali aveva lasciato intendere che non era questo il suo desiderio: “Ho lasciato l’Lra perché ero stanco della vita militare”. Ma dopo essersi arruolato lo scorso anno è sembrato soddisfatto dei vantaggi di uno stipendio mensile.

Informazioni false

Una vita del genere potrebbe essere allettante anche per gli altri combattenti rimasti nell’Lra? E che ne sarà di Joseph Kony? Occasionalmente circolano voci a proposito di una sua resa (ma di frequente sono informazioni false diffuse da alcuni acholi che sperano in una ricompensa da parte di diplomatici e organizzazioni non governative).

Ali non sa quali siano le loro intenzioni: “Alcuni potrebbero avere paura, a causa di quello che hanno sentito dire sul governo: che si rischia di essere arrestati e messi in carcere; e magari avvelenati”.

Comunque lui è convinto della sua scelta. “Ci ho ragionato a fondo. Dovevo tornare a casa”. ◆ fdl

Biografia

1994 Nasce a Gulu, in Uganda, figlio di Joseph Kony, il capo del gruppo ribelle Esercito di resistenza del Signore (Lra). Ad appena sei mesi viene trasferito in una località segreta.
2010 I ribelli si nascondono nell’enclave del Kafia Kingi e lui si occupa del commercio sul mercato nero.
2023 In seguito ad alcuni contrasti con il padre, decide di lasciare il gruppo ribelle e fugge con la famiglia a Songo, nella regione sudanese del Darfur, prima di tornare in Uganda.


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Questo articolo è uscito sul numero 1608 di Internazionale, a pagina 76. Compra questo numero | Abbonati