È dura essere un politico repubblicano in Australia: quando si entra in carica si deve giurare fedeltà alla corona britannica. Lidia Thorpe, la senatrice che il 21 ottobre ha contestato re Carlo a Canberra, continua a essere in difficoltà nel trovare una giustificazione convincente alla sua apparente ipocrisia. Con un intervento piuttosto teatrale ha accusato il re di genocidio e gli ha chiesto di restituire ossa e reliquie varie. “Tu non sei il mio re. Fanculo il colonialismo!”, ha urlato prima di essere portata via di peso. Quando un giornalista le ha ricordato che nel 2022 aveva giurato fedeltà a sua maestà e ai suoi “eredi e successori”, lei ha detto di aver storpiato le parole della formula. Il video della cerimonia lo conferma. Poi, quando si è capito che il gesto poteva costarle il seggio, lei stessa ha ritrattato tutto.
Nel Regno Unito l’ideale repubblicano non scalda i cuori. Un quarto della popolazione preferirebbe eleggere un capo di stato, ma due terzi dei cittadini hanno un’opinione più o meno positiva della monarchia.
Secondo il gruppo Republic, il reddito del principe William è sei volte più alto della somma degli stipendi dei capi di stato eletti d’Europa. Cifre ingiustificate, frutto di un mondo di finzione
Se però dovessi dare un consiglio alla famiglia reale – circostanza improbabile come quella di reincarnarmi in una candela – avrei un modesto suggerimento sulla loro incredibile ricchezza.
Inizialmente volevo scrivere di un documento prodotto dal gruppo antimonarchico Republic, secondo cui il vero costo della monarchia è di 510 milioni di sterline all’anno (615 milioni di euro). È possibile criticare alcune premesse del rapporto, ma perfino al Times hanno avuto un sussulto leggendolo. “La monarchia ha ancora il rispetto della maggior parte dei britannici, ma l’era della cieca deferenza è finita”, si legge in un editoriale del quotidiano. “Il denaro pubblico dev’essere gestito in modo responsabile”.
Poi, però, mi sono imbattuto in una ricerca più sobria – e molto più incisiva – pubblicata dalla House of commons library. S’intitola “Le finanze della monarchia” ed è piuttosto sconcertante. Pensate alla famiglia reale come a una piccola o media impresa (pmi). Al centro ci sono sette persone che lavorano, più quattro pensionati che ogni tanto fanno un turno. Le strutture necessarie a tenere in piedi quest’azienda sono considerevoli: circa 1.200 dipendenti, numerose sedi e diverse entrate. Gran parte di questa roba è decisamente poco trasparente, come non sarebbe possibile in nessuna pmi. E le cifre guadagnate dai dipendenti principali sono astronomiche. Questa particolare pmi è ufficialmente finanziata attraverso il sovereign grant, la “sovvenzione sovrana”, che garantisce un costante aumento delle entrate: nel 2023 sono cresciute del 53 per cento. Il motivo è che la sovvenzione è legata ai profitti derivanti dal patrimonio della corona. E il patrimonio della corona ha vissuto un anno estremamente positivo, perché possiede le nostre coste: più parchi eolici costruiamo, più i reali ci guadagnano.
La cosa assurda è che gli spin doctor dei reali hanno cercato di farci credere che il meccanismo sarebbe diventato meno generoso. Una promessa liquidata così dall’ex segretario di gabinetto lord Andrew Turnbull: “Penso che sia una stronzata”. Il re incassa una somma esorbitante anche dal ducato di Lancaster: come un barone duecentesco si limita a intascare la rendita, 29,6 milioni di sterline nel 2023. E percepisce ricavi da investimenti privati, patrimoni ereditati e rendite fondiarie. Queste somme non sono registrate e non si sa se ci paghi le tasse.
Poi c’è il principe William. Secondo voi quanto dovrebbe guadagnare? “Più o meno del primo ministro?”, si chiedono di solito i giornali. E la risposta è molto, molto di più. Oltre a ciò che riceve dalla sovvenzione sovrana per l’esercizio delle sue funzioni (126 impegni nel 2022), William può contare su quella vera e propria miniera d’oro che è il ducato di Cornovaglia: nel 2023 gli ha fatto guadagnare 23,6 milioni di sterline. Secondo Republic il reddito di William supera di sei volte la somma degli stipendi di tutti i capi di stato eletti in Europa. Sono cifre ingiustificate, frutto di un mondo di finzione. Se fosse messo in discussione, crollerebbe tutto. Come ha scritto nell’ottocento il costituzionalista Walter Bagehot, non possiamo “lasciare che la magia sia raggiunta dalla luce del giorno”. Dunque bisogna impedire alla luce di entrare. Altrimenti dovremmo chiederci perché mai i sette principali dipendenti della pmi reale abbiano bisogno di diciannove tra case, castelli o palazzi.
Fortunatamente per il re, il rapporto della camera dei comuni sulle finanze reali non ha attirato molta attenzione. Tuttavia i giornali non hanno potuto evitare di parlare del grande aumento della sovvenzione sovrana. Non proprio una bella figura per la corona.
L’ultimo deputato britannico convintamente antimonarchico è morto nel 2000. Si chiamava Willie Hamilton. Prima o poi, però, anche noi avremo la nostra Lidia Thorpe. E quando riusciremo a far entrare un po’ di luce, forse quella vecchia magia non sembrerà poi così magica. ◆ gim
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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati