“È un po’ come parlare allo specchio”. Così lo storico della diplomazia Sergey Radchenko ha descritto i preparativi di Nikita Chruščëv per i negoziati con Dwight Eisenhower dopo la morte di Iosif Stalin. Il leader sovietico immaginò cosa avrebbe detto al presidente degli Stati Uniti, e in che modo Ike (questo il suo soprannome) avrebbe in un primo momento respinto le sue argomentazioni per poi arrendersi alla loro logica in quanto unica soluzione praticabile. “La difficoltà del parlare con avversari immaginari”, scrive Radchenko, “è che inconsciamente gli facciamo dire quello che vorremmo sentirci dire”. Non pensiamo a cosa può succedere se l’altra parte resiste alla nostra logica.
Nell’approccio occidentale nei confronti della Russia mi sembra di rintracciare una versione di questo “parlare allo specchio”. Ascoltiamo solo per sentire quello che vogliamo sentire, e cioè che Putin è disposto a negoziare la fine del conflitto in Ucraina. Ma è davvero così? Come molti analisti e la maggior parte degli europei, credo che la guerra si concluderà con un accordo. Kiev sarà costretta a barattare una parte di territorio in cambio di garanzie sulla sicurezza. Eppure, anche se i negoziati sono inevitabili, non penso che siamo così vicini alla conclusione come molti auspicano. Ci sono almeno quattro fattori che rendono la situazione imprevedibile.
Come molti analisti e la maggior parte degli europei, credo che la guerra si concluderà con un accordo. Ma non penso che siamo così vicini alla conclusione come molti auspicano
Il primo è che la Russia e l’Ucraina sono in due situazioni molto diverse. Al momento il Cremlino è convinto di essere in vantaggio sul campo di battaglia. Crede di avere un considerevole spazio di manovra per quel che riguarda il mettere fine alla guerra. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj, al contrario, è in una situazione precaria. Gli insuccessi militari hanno indebolito il sostegno politico al suo paese. Kiev vuole che la guerra finisca il prima possibile, ma non è ancora pronta a cedere del territorio in cambio di pace. Perciò Zelenskyj è costretto a parlare di vittoria e allo stesso tempo a cercare il compromesso.
In secondo luogo, molti di quelli che sproloquiano sui negoziati pensano di sapere cosa vuole e cosa è disposto a concedere Putin. Durante la recente visita di Zelenskyj negli Stati Uniti l’ex presidente Donald Trump ha dichiarato di avere “un ottimo rapporto” con il presidente ucraino e “come sapete, ce l’ho pure con il presidente Putin, e credo che se vinceremo le elezioni risolveremo [il conflitto] molto rapidamente”. Con il suo solito fare da spaccone, Trump voleva dire di avere già trattato con Mosca in passato ed è fiducioso di saperlo fare ancora una volta. Il problema è che nessun leader occidentale comprende veramente le attuali motivazioni del Cremlino. Il Putin anteguerra e quello di oggi sono diversi, come lo Stalin del 1940 era diverso da quello del 1944.
In terzo luogo, gli obiettivi della Russia sono cambiati nel tempo. “L’operazione speciale” di Mosca inizialmente era molto circoscritta. L’obiettivo principale era spezzare l’incantesimo esercitato dall’occidente sulla società ucraina, che con una breve guerra si sarebbe risvegliata. Non ha funzionato. L’operazione speciale era già fallita nel settembre del 2022. Quella a cui assistiamo da allora è una guerra per procura contro la Nato combattuta su territorio ucraino. È così che Putin e la maggior parte dei russi vedono la situazione. Ed è per questo motivo che Putin non tollererà che nessun capo di stato straniero, neppure il suo vecchio amico Trump, interpreti il ruolo dell’eroico pacificatore. La pace dev’essere una vittoria russa. Dividere la Nato è uno degli obiettivi di guerra di Mosca.
La quarta difficoltà è che né Washington né l’Unione europea hanno una strategia di lungo termine per la Russia. L’Ucraina è stata parte integrante della duplice politica occidentale nei confronti di Mosca dopo la guerra fredda. Nella sua versione trasformativa, la democratizzazione di Kiev era considerata uno strumento per democratizzare la stessa Russia. Ma c’era anche un’altra versione, più concentrata sulla stabilità, nella quale vigeva una logica distinta: non stuzzicare l’orso. Questa ambivalenza ha contribuito allo scoppio della guerra.
Nei quasi mille giorni passati dall’inizio del conflitto l’occidente è stato restio a permettere agli ucraini di colpire bersagli in territorio russo, ma “compensa” Kiev lasciandole decidere il modo in cui l’occidente parla della Russia. L’occidente ha esternalizzato la sua politica all’Ucraina. Ma se Putin è convinto di essere in guerra con l’occidente, questa esternalizzazione è controproducente.
I leader statunitensi ed europei devono riprendere in mano l’iniziativa. Qualsiasi trattativa riguarderà l’Ucraina insieme al futuro dell’ordine europeo. Come dice un vecchio proverbio russo: “Se inviti un orso a ballare, non sei tu a decidere quando il ballo è finito”. ◆ fdl
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Questo articolo è uscito sul numero 1587 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati