A ottobre avevo previsto che il Libano sarebbe stato uno dei grandi sconfitti della guerra a Gaza. Nove mesi dopo, l’ora della verità si avvicina. O l’organizzazione sciita Hezbollah uscirà rafforzata da questa fase, o sarà più o meno indebolita e il Libano ne emergerà in parte distrutto.

Due grandi incognite incombono sul Medio Oriente dal 7 ottobre, quando gli attentati di Hamas hanno innescato la reazione militare israeliana. La prima riguarda il destino del popolo palestinese e la mutazione di Israele in uno stato illiberale dominato dal suprematismo ebraico. La seconda è come andrà a finire il braccio di ferro che contrappone Tel Aviv all’autoproclamato “asse della resistenza” (l’Iran e i suoi alleati regionali), il cui esito ridisegnerà i rapporti di forza in tutta l’area.

Un conflitto regionale su vasta scala avrebbe conseguenze drammatiche per il Libano. Ma Israele e l’Iran sembrano bloccati nelle loro scelte e nella loro tracotanza

La carneficina compiuta dall’esercito israeliano nella Striscia di Gaza e l’indignazione legittima che suscita hanno relegato in secondo piano l’altra sfida di questo conflitto. Chi vincerà tra Iran e Israele? Attualmente una vittoria di Tel Aviv implica la distruzione di Gaza e di una parte del Libano, nonché un’escalation che potrebbe interessare la Siria, l’Iraq, i paesi del golfo Persico e ovviamente l’Iran. Una vittoria di Teheran rafforzerebbe la presa della Repubblica islamica sul Libano, la Siria, l’Iraq, lo Yemen e la Palestina. In sintesi, le alternative sono due: la terra bruciata israeliana o l’imperialismo iraniano.

Finora l’Iran è il grande vincitore di questo braccio di ferro. Certamente, come i suoi alleati, ha subìto molte perdite sul campo e la sua presunta vittoria resta fragile. Un’escalation regionale potrebbe rimettere tutto in discussione tanto da minacciare la sopravvivenza del regime. Ma finché gli Stati Uniti non saranno disposti a farle guerra, la Repubblica islamica può rallegrarsi. I ribelli yemeniti huthi sono una costante minaccia per il commercio internazionale e le petromonarchie del Golfo. Le milizie irachene asservite a Teheran hanno nel mirino numerosi obiettivi statunitensi e ormai anche la Giordania. Il movimento sciita libanese Hezbollah, dopo essere stato sulla difensiva per mesi, ora mostra i muscoli nella “strana guerra” alla frontiera con Israele. Usando solo una parte del suo arsenale, il movimento è riuscito comunque a creare una terra di nessuno nel nord dello stato ebraico. Hamas, che Tel Aviv prometteva di sradicare, conduce ancora operazioni dalla Striscia di Gaza e dopo nove mesi di guerra, secondo le stime di Tel Aviv, ha perso solo la metà dei suoi uomini. Ciliegina sulla torta, per la prima volta nella sua storia l’Iran ha osato lanciare un attacco diretto contro Israele senza pagarlo a caro prezzo. E continua a portare avanti il suo programma nucleare.

A queste condizioni, Israele potrà accettare di essere sconfitto? Questo significherebbe acconsentire a un cessate il fuoco a Gaza, senza che Hamas sia stato annientato, e concludere un accordo con Hezbollah, senza ottenere le garanzie desiderate. Attualmente questo scenario appare improbabile. Eppure è l’unica strada per evitare una guerra totale in Libano.

Se Israele prendesse atto della vittoria strategica dell’Iran, Hezbollah potrebbe congelare il fronte meridionale e concedere qualcosa a condizione di non consegnare le armi, di avere i mezzi per riattivarle in caso di scontro tra Israele e l’Iran, oltre che di ottenere compensazioni in patria e nella regione. A quel punto chi potrebbe rifiutare la presidenza libanese all’organizzazione sciita? Anche se non si potranno ignorare gli equilibri interni, tutti gli altri interessi in gioco appaiono minuscoli al confronto. Insomma: se eviteremo la guerra totale nelle prossime settimane, questo segnerà l’avvio dell’era ufficiale, e non più ufficiosa, del dominio di Hezbollah sul Libano.

Lo scenario alternativo è ancora più inquietante. Un conflitto su vasta scala avrebbe conseguenze drammatiche per il paese dei cedri. Israele si lancerebbe in un’impresa folle con possibilità di successo limitate. Ma il governo Netanyahu potrebbe considerarlo il male minore.

Più passano i giorni e più i due avversari sembrano intrappolati nelle loro scelte e nella loro tracotanza. E mentre il semaforo rosso dell’amministrazione Biden è diventato arancione, la finestra diplomatica rischia di richiudersi rapidamente. Rimangono delle questioni legate a Gaza e alle presidenziali statunitensi.

Tre domande saranno determinanti nelle prossime settimane. Benjamin Netanyahu pensa che una guerra contro il Libano sia una carta vincente per la sua sopravvivenza politica? Israele crede che un accordo con Hezbollah possa assicurargli le garanzie minime di cui ha bisogno? Tel Aviv è convinta che a medio termine una guerra con l’Iran sarà inevitabile, e che quindi è necessario indebolire il più possibile la principale carta del suo avversario? Qualunque cosa succeda, sarà un’estate calda. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1569 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati