In Birmania le proteste contro il colpo di stato militare del 1 febbraio, cominciate come sfilate carnevalesche, si sono trasformate in una violenta rivolta nazionale, che ha raggiunto aree del paese in cui ribelli e forze regolari non si scontravano da decenni. La repressione delle manifestazioni e le violenze commesse dal tatmadaw (le forze armate) hanno confermato la sua fama di istituzione più disprezzata del paese da quando i militari hanno preso il potere otto mesi fa.

La Birmania è devastata dalla pandemia e da un’economia in stallo che, secondo le ultime previsioni della Banca mondiale, nel 2021 si contrarrà del 18 per cento. Il tasso di povertà arriverà al 48,2 per cento nel 2022, quasi il doppio rispetto al 2017. Il paese, entrato nelle grazie dell’occidente dopo le riforme politiche ed economiche del 2010, che hanno portato alle elezioni storiche del 2015, oggi è di nuovo isolato. Sotto ogni punto di vista la Birmania sembra dirigersi verso un disastro di proporzioni inaudite.

Otto mesi fa milioni di persone di tutte le età sono scese in piazza quasi ovunque nel paese, indossando costumi fantasiosi e urlando slogan ironici contro l’esercito. A un certo punto quasi tutta la Birmania ha scioperato. La situazione è degenerata quando il tatmadaw ha cominciato a sparare sui manifestanti, in gran parte pacifici. I cecchini hanno mirato ai più giovani, così da rendere chiaro il loro messaggio.

Oggi, dopo che più di mille manifestanti sono stati uccisi e altre migliaia di persone sono finite in carcere, le proteste proseguono su scala più ridotta a Rangoon­, a Mandalay e in altri posti. Ma i modi per esprimere il dissenso stanno cambiando, e sempre più spesso le forze d’opposizione attaccano le postazioni dell’esercito o uccidono funzionari filomilitari e presunti informatori. I ribelli, noti con il nome di Forze di difesa del popolo (Pdf), combattono contro il tatmadaw soprattutto nelle regioni di Sagaing, Mandalay e Magwe, oltre che negli stati Chin e Kayah. Spesso attaccano con fucili da caccia e fionde, ma molti hanno armi automatiche e stanno infliggendo perdite pesanti all’esercito. Non riuscendo a individuare i nuovi ribelli, il tatmadaw ha cominciato a sparare indiscriminatamente dagli elicotteri e con l’artiglieria pesante sui villaggi, a saccheggiare abitazioni a caso, uccidere civili senza motivo e bruciare veicoli o bestiame. I nuovi ribelli hanno sottratto una parte delle armi alla polizia e all’esercito, mentre altre le hanno ottenute dai gruppi armati di alcune etnie, in particolare i kachin del nord e i karen e karenni sul confine tailandese, a est.

Dopo il golpe hanno ripreso vigore anche le rivolte delle minoranze etniche, in corso da decenni. Nel Kachin l’Esercito indipendente del Kachin (Kia) è passato all’attacco anche nelle regioni settentrionali di Sagaing e Mandalay, dove sta collaborando con le Pdf locali. Quando il 19 settembre il generale Min Aung Hlaing è andato a Mytikyina, la capitale del Kachin, ci è rimasto solo per un giorno e per ragioni di sicurezza ha dovuto cancellare una visita a Putao, nell’estremo nord.

Sul piano internazionale, gli unici amici rimasti alla Birmania sono i suoi alleati dell’Associazione dei paesi del sudest asiatico (Asean), la Russia e la Cina. Perfino Pechino, però, sta facendo il doppio gioco per ridurre i rischi. Di recente ha inviato aiuti per sei milioni di dollari alla giunta militare, ma al tempo stesso ha riaffermato il legame tra il Partito comunista cinese e la Lega nazionale per la democrazia (Nld) di Aung San Suu Kyi, oggi in carcere, che guidava il governo rovesciato dai militari. Il recente accordo raggiunto durante l’assemblea generale dell’Onu tra Cina e Stati Uniti per rimandare la decisione su quale governo debba rappresentare la Birmania – la giunta militare o il Governo di unità nazionale (Nug) nato in opposizione al golpe – ha reso ancora più evidente l’ambiguità di Pechino. La Cina, inoltre, ha donato quasi 13 milioni di dosi dei suoi vaccini contro il covid-19 alle autorità sanitarie controllate dall’esercito e un numero indefinito alle aree controllate dai gruppi ribelli armati. Alcuni di questi gruppi hanno armi di fabbricazione cinese fornite dall’Esercito dello stato unito wa, che ha legami con le agenzie di sicurezza cinesi. Si sa anche che Pechino ha chiesto a questi ribelli di non combattere vicino agli oleodotti e ai gasdotti costruiti tra la costa birmana sulla baia del Bengala e la provincia dello Yunnan, nella Cina meridionale, e di non farlo vicino ad altri progetti cinesi in Birmania legati alla nuova via della seta.

Esito imprevisto

È probabile che il tatmadaw non avesse previsto niente di tutto questo quando otto mesi fa ha preso il potere. Al tempo stesso i generali sembrano determinati a non mollare. Per sopravvivere alle sanzioni internazionali sempre più pesanti e alla crisi economica, l’esercito sta cercando di rafforzare il controllo sul redditizio commercio della giada. Dopo il golpe, nell’area della miniera di Hpakant sono ricominciati gli scontri tra i militari e i ribelli kachin, rendendo molto più rischiosa l’estrazione. Per ora a incassare i guadagni del commercio della giada sono soprattutto i militari più vicini al generale Min Aung Hlaing. Ma alcuni alti ufficiali considerano il capo della giunta troppo debole e vorrebbero metodi ancora più duri per reprimere il dissenso. Una spaccatura dentro il tatmadaw potrebbe portare a una guerra civile su vasta scala e a una catastrofe umanitaria ancora più grave. Il golpe ha scoperchiato un vaso di Pandora colmo di disastri. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati