“Pensavo che sarebbe stato un calvario infinito”, racconta José Enrique Sánchez, uno dei 135 prigionieri politici nicaraguensi rilasciati il 5 settembre dal governo autoritario di Daniel Ortega e Rosario Murillo e accolti in Guatemala. “Vivevamo in condizioni precarie”, “eravamo sottoposti a torture psicologiche”, “le nostre famiglie erano minacciate”, “ci dicevano che l’avremmo pagata cara”, ricorda Sánchez, che ha passato diciassette mesi nel carcere La Modelo per aver partecipato alla tradizionale festa del giovedì e del venerdì santo di Masatepe. “Era notte, stavamo dormendo. I poliziotti hanno cominciato a colpirci con i manganelli. Ci davano da mangiare nei secchi, che erano pieni di insetti”, continua.
Jared Ramírez, un altro degli esuli politici intervistati in Guatemala, ha subìto torture dopo essere stato arrestato per aver festeggiato la vittoria di Sheynnis Palacios al concorso di Miss universo del 2023 (la donna aveva partecipato alle proteste contro Ortega nel 2018).
Anche Óscar Parrilla, un pittore di Estelí, era stato arrestato per aver celebrato Palacios con la sua arte. Come gli altri detenuti, in carcere ha vissuto in condizioni molto difficili: “Ci lasciavano spesso senz’acqua. Il caldo era insopportabile”, dice. In varie occasioni le guardie carcerarie lasciavano credere che sarebbero stati rilasciati: “Ci facevano uscire dalla cella per farci la barba in giorni a caso”. Per questo l’ultima volta Parrilla non pensava che sarebbe stato liberato.
Per Adriana Zapata, arrestata per aver stampato una foto del vescovo oppositore Rolando Álvarez (fatto uscire dal paese a gennaio), il periodo in carcere è stato il più duro della sua vita: “I pasti erano terribili. Non potevamo leggere niente, neanche la Bibbia”, si lamenta.
Isaías Ruiz, 57 anni, è stato rinchiuso nelle celle di massima sicurezza della Modelo, passando un periodo in isolamento. Insegnava in una scuola elementare di Managua, ma era stato licenziato per essersi opposto apertamente al governo. Il giorno dell’arresto era per strada a vendere del pane in bicicletta.
“Mi hanno arrestato il 17 ottobre 2023. Sono finito nella prigione del Chipote. Non mi hanno lasciato dormire per varie notti e mi hanno interrogato a lungo. Hanno detto che facevo foto ai sandinisti e poi si sono inventati che nel 2008 avevo avuto una denuncia per abusi su minori”, spiega. “Non ero mai stato in prigione prima, sono sempre stato un gran lavoratore”.
Futuro incerto
Jaqueline Rodríguez è stata arrestata insieme al marito, Sergio Castilblanco, ed è rimasta in carcere diciassette mesi. Ricorda di essere stata portata fuori dalla sua cella intorno alle sette di sera del 4 settembre 2024.
“Le agenti sono entrate in silenzio e ci hanno ordinato di prepararci senza fare rumore. Ci hanno fatto uscire in manette a coppie e ci hanno portato in una stanzetta”, dice. Hanno riunito tutte le detenute e dopo le hanno fatte salire su un furgone. Le donne sono arrivate in un luogo che non hanno riconosciuto e lì hanno riavuto i loro passaporti. “Verso le due del mattino ci hanno trasferite, poi abbiamo aspettato qualche ora. Il furgone aveva i vetri oscurati, non ci hanno detto nulla e ci hanno portato fuori a gruppi di cinque. Quando abbiamo visto l’aeroporto abbiamo capito che saremmo uscite dal paese”, racconta Rodríguez, che ammette di avere dei vuoti di memoria su quelle ore.
Secondo lei, almeno sette prigioniere politiche sono rimaste in carcere. Tra queste la deputata nativa Yatama Nancy Henríquez, accusata di aver diffuso notizie false. “Un’altra donna è salita sul furgone ma alla fine non è partita”, dice Rodríguez.
◆ Il 5 settembre 2024 il Nicaragua ha liberato 135 prigionieri politici grazie a un accordo negoziato con gli Stati Uniti. Il 10 settembre Managua gli ha revocato la cittadinanza. I detenuti sono stati accolti dal Guatemala e avranno novanta giorni per regolarizzare la loro situazione. Tredici persone facevano parte di una chiesa evangelica statunitense. La Casa Bianca ha sottolineato che del gruppo fanno parte studenti, laici cattolici e altri cittadini che il leader nicaraguense Daniel Ortega e la moglie Rosario Murillo consideravano una minaccia al loro governo autoritario. Afp
Jason Salazar, ex leader studentesco, racconta che nel carcere della Modelo i segnali di un possibile rilascio sono cominciati intorno alle sei del pomeriggio del 4 settembre. Era nella sua cella quando un agente gli ha ordinato di lavarsi.
“Dopo un po’ sono arrivati dei furgoni che trasportavano degli abiti per noi. È stata un’emozione. Alcuni funzionari sono entrati nel nostro settore e ci hanno consegnato i vestiti con i nostri nomi”, ricorda. Poi hanno sbrigato le pratiche necessarie per lasciare il paese, gli hanno misurato la pressione e hanno controllato i documenti. Un detenuto è stato separato dagli altri e non è salito sull’aereo.
Non è ancora stato diffuso l’elenco dei 135 prigionieri politici liberati. Il governo di Ortega non ha fatto nessun riferimento all’operazione e, a differenza del passato, non ha reso noti i nomi delle persone rilasciate. L’ong Meccanismo per il riconoscimento dei prigionieri politici del Nicaragua ha potuto verificare l’identità di 109 detenuti: ventidue donne e 87 uomini.
Molti non hanno ancora realizzato quello che è successo: “Sono sotto shock”, confessa Rodríguez, che desidera rivedere le sue figlie. Altri ammettono di voler tornare in Nicaragua quando la situazione politica lo permetterà.
È una realtà difficile da accettare, confessa la studente Mayela Campos, “perché avevo dei progetti per il futuro. All’improvviso non c’è più niente, hanno cancellato il mio percorso universitario. Non so cosa mi succederà né dove andrò a vivere. Non mi sento di appartenere a nessun luogo. Non ho nulla perché il governo ha deciso così”. ◆ fr
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Questo articolo è uscito sul numero 1580 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati