L’America Latina è da sempre un terreno fertile per la musica. Se a molti il continente evoca l’euforia della cumbia, la psichedelia latina e la bossa nova, in tempi recenti la scena latinoamericana è diventata più complessa. Tra i nomi più originali c’è Mabe Fratti, violoncellista guatemalteca che con il quarto album rende bene la sua idea di sperimentazione. Sentir que no sabes è il suo lavoro migliore. Ogni pezzo supera il precedente nell’impatto emotivo, ma nel complesso lei riesce a non piangersi mai addosso. In mezzo alla malinconia il suono guizza tra l’avant pop, le colonne sonore e il jazz. Quello che quest’artista riesce a produrre con il violoncello può essere descritto semplicemente come sperimentale, ed è sostenuto da una produzione eccellente. In aggiunta a questo, però, tutto il disco sarebbe perfetto per il cinema. Kitana starebbe bene in un film horror italiano degli anni settanta. Se le capacità della musicista con il suo strumento sono il fulcro dell’album, quello che fa con la voce e le parole è altrettanto importante. Fratti ci guida nell’oscurità dei suoi paesaggi, in un viaggio sonoro di un tipo che capita raramente di fare.
Ben Forrest, Far Out Magazine
Lil Yachty e James Blake si sono allontanati parecchio dallo stile dei loro esordi. In Let’s start here, uscito l’anno scorso, il ventiseienne rapper di Atlanta aveva lasciato i fan sconcertati o deliziati, a seconda dei casi, passando alla psichedelia con sfumature alla Pink Floyd dopo essersi fatto un nome grazie a una serie di canzoni trap d’avanguardia. Nel frattempo Blake, un tempo crooner d’autore della scena post-dubstep, è diventato il produttore di riferimento per gli ascoltatori di rap in cerca di un’iniezione di tristezza robotica. La loro collaborazione, quindi, sulla carta aveva senso. In realtà Bad cameo sembra essere rimasto bloccato alle fasi di pianificazione, con idee promettenti infilate goffamente dentro canzoni ambient. Ci sono momenti intensi, come quando si sente la voce elastica di Yachty filtrata dalla scatola nera di trucchi di Blake in Missing man, o nel quasi gospel di Red carpet. A volte, però, la malinconia rimane impantanata: Save the savior è una terra desolata di vanterie usa e getta e autocommiserazione, mentre Blake si trasforma in Chris Martin a metà dell’esagerata Midnight. L’album che Bad cameo vorrebbe essere di più è Blonde di Frank Ocean. Un obiettivo nobile, ma troppo ambizioso.
Chal Ravens, The Observer
A quindici anni Felix Mendelssohn scoprì la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, allora trascurata, e decise di restituirla al repertorio. Immaginò che il modo migliore per raggiungere il pubblico fosse aggiornare tecnicamente il capolavoro bachiano senza invadere l’invenzione del maestro. Ne ridusse la durata di un terzo, lavorando sui recitativi e aggiungendo un accompagnamento di fortepiano con nuove parti di sostegno armonico ed espressivo. Aggiunse all’orchestra clarinetto, organo e contrabbassi, aggiornando altri strumenti. Ottenne un risultato onesto ed efficace: l’eloquenza drammatica della grande creazione era rafforzata soprattutto con una nuova robustezza sonora, che la avvicinava alla sensibilità dell’ottocento. Non si trattava di sostituire Bach ma d’interpretarlo, tenendo conto delle carenze che il compositore stesso aveva espresso riferendosi agli interpreti del suo tempo. Il direttore Christopher Jackson ha capito il suo compito e l’ha svolto con attenzione, eccellenza dei mezzi ed espressività. Gli esecutori, soprattutto il coro, gli rispondono ad altissimo livello. Ottime anche le voci soliste, in particolare il tenore, alle prese con la lunghezza e la varietà narrativa e retorica della parte dell’Evangelista.
Blas Matamoro, Scherzo
Articolo precedente
Articolo successivo
Inserisci email e password per entrare nella tua area riservata.
Non hai un account su Internazionale?
Registrati