Cultura Suoni
No name
Jack White (Scott Legato, Getty)

“Niente in questo mondo è gratuito”, dice Jack White nel brano di apertura del suo sesto album solista, uscito a sorpresa il 19 luglio e intitolato No name. La Third Man Records, l’etichetta di White, ha diffuso il disco, che raccoglie tredici tracce e ha una copertina bianca senza scritte, con un metodo originale: ha messo una serie di vinili nelle borse dei clienti nei suoi punti vendita a Nashville e nella città natale del musicista, Detroit. Un post su internet ha incoraggiato i fortunati destinatari a “copiarlo” e a condividere la musica con il resto del mondo, cosa che ovviamente è stata fatta. Nessun dettaglio, nemmeno i titoli delle canzoni, è stato rivelato ai mezzi d’informazione. La buona notizia è che No name è carico di quel tipo di feroce rock and roll per cui i fan di White si struggono. La sua energia è instancabile, la sua dinamica esplosiva e, in alcuni punti, sofisticata. Le radici e le influenze alla base dei brani – blues, garage rock, psichedelia, Led Zeppelin – sono evidenti e ricordano Blunderbuss del 2012, ma soprattutto i White Stripes. Il primo brano del secondo lato, invece, fonde gli AC/DC di Highway to hell con i Rolling Stones di Honky tonk women. La raffica di riff spinge la poetica beatnik dei testi, sempre a cavallo tra il carnale e il filosofico. La modalità di pubblicazione di No name lo rende emozionante di per sé, ma anche quello che si trova in mezzo ai suoi solchi lo è. Jack White sta andando a tutto gas e ci ha regalato il tipo di album che l’ha reso probabilmente il più grande eroe del rock del ventunesimo secolo.
Gary Graff,
Ultimate Classic Rock

Charm
Clairo (Lucas Creighton)

Il terzo album della cantautrice di Atlanta Clairo è già un classico, con canzoni dolci ma allo stesso tempo dense e intelligenti, che lo rendono un ascolto decisamente confortante. Claire Cottrill, vero nome dell’artista, ci mostra tutta la sua musicalità e il suo gusto. Se l’abilità di scrivere melodie affascinanti è una cosa, non è scontato saperle anche interpretare con personalità. I brani hanno il calore dei dischi degli anni sessanta, ricreato grazie ai sintetizzatori, al Mellotron e a tastiere e chitarre. Il momento in cui mi sono veramente innamorato di Charm è Second nature, una canzone dove l’armonia si evolve in modo irresistibile. E quel cambiamento improvviso alla Beatles, a metà del pezzo, aggiunge una bellezza inaspettata. A seguire c’è Slow dance, che si trova in un territorio a metà fra Norah Jones, Elton John e gli Steely Dan: un altro momento notevole. Le influenze di Clairo sono sempre eleganti e lei sa mescolarle in maniera eclettica. Ha realizzato un disco perfetto per l’estate.
Ben Lock, Northern Transmissions

Per tutto l’ottocento Giacomo Meyerbeer è stato uno dei compositori più rappresentati sulle scene operistiche internazionali. Poi è passato di moda, e non ha mai beneficiato di una rivalutazione critica come quella che ha riportato Rossini e Donizetti in primo piano. Oggi la London Symphony Orchestra pubblica Le prophète, uno dei suoi più sfavillanti grand opéra, ripreso da una messa in scena al festival di Aix-en-Provence del 2023. È un’esecuzione sempre emozionante, dall’inizio pastorale con i suoi archi sempre fluidi ai fragorosi ottoni del crollo finale, con una direzione ricca di dettagli e ottimi ensemble corali francesi. Il cast vocale è impressionante anche nei ruoli secondari, come i tre anabattisti. Il soprano Mané Galoyan è una Berthe squisita; Elizabeth DeShong nei panni di Fidès è un mezzo soprano abbagliante, con la sua credibilità espressiva; e il tenore John Osborn risolve brillantemente le mille trappole vocali della parte del profeta Jean de Leyde. Speriamo che questo meraviglioso album inauguri una tanto attesa Meyer­beer renaissance.
Pablo L. Rodríguez, Scherzo

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1573 - 26 luglio 2024

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