La Cgil ha raccolto quattro milioni di firme per abolire attraverso un referendum il Jobs act, la riforma del lavoro del governo Renzi, e tornare a quella Fornero (che non è comunque il vecchio articolo 18 sul reintegro dei licenziati). Il presupposto è che una maggiore flessibilità in entrata e in uscita abbia penalizzato i lavoratori. Non tutti allo stesso modo, però. Uno studio recente di Nicola Bianchi (Kellog) e Matteo Paradisi (Eief) su dati dell’Inps dimostra che tra il 1985 e il 2019 in Italia è quasi raddoppiato l’age pay gap, cioè la differenza di retribuzione tra lavoratori anziani e giovani: +96 per cento. In tutti i paesi ricchi si osserva un fenomeno simile, ma non della stessa entità. Società che invecchiano tendono a penalizzare i giovani. Ma società che invecchiano e che hanno un mercato del lavoro molto rigido impediscono di far accedere i giovani alle posizioni di carriera più remunerative, occupate da colleghi più anziani e inamovibili. Questo succede soprattutto in aziende vecchie, piccole, attive in settori a bassa tecnologia e declinante produttività. Difficile che rendere il mercato del lavoro ancora più rigido risolva questi problemi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1573 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati