Girato a Khartoum prima del conflitto attualmente in corso, Goodbye Julia ci riporta nel rovente passato del Sudan, nella fase di transizione verso l’indipendenza del sud. Al centro della vicenda c’è il rapporto ambiguo tra due personaggi, Mona (Yousif) e Julia (Riak). La prima appartiene all’élite musulmana della capitale, la seconda è sudista, nera, cristiana e povera. Mona provoca involontariamente la morte del marito di Julia e decide, senza darle spiegazioni, di accoglierla in casa con il figlio impiegandola come cameriera. La distanza tra la padrona e la “schiava” (così la chiama Akram, marito di Mona), accentuata da un razzismo strisciante, non si colma mai, eppure tutto ruota intorno all’imprevista complicità tra le due donne, anche se la sceneggiatura non tiene in equilibrio le loro traiettorie privilegiando quella di Mona, ex cantante soffocata dal marito. Alcune scelte (sia di scrittura sia tecniche) possono far pensare a un classicismo lezioso che allontana il film dal realismo. Ma forse questo risponde a un’immagine di un cinema isolato in una bolla in cui è più facile allinearsi allo sguardo dei privilegiati, magari per esplorarne i punti oscuri. Prendendo per buona l’allegoria politica (good-bye Julia, good-bye Sud), il film capta con finezza le stonature di una coppia borghese che non riesce a tenere il passo della storia.
Élie Raufaste, Cahiers du Cinéma
Sudan 2023, 120’. In sala
Italia / Francia 2024, 132’. In sala
Paolo Sorrentino, regista brillante e unico, sfiora pericolosamente l’autoparodia con questo nuovo film che sembra voler proclamare la sua bellezza in ogni istante per poi scivolare in una specie di torpore elegiaco un po’ gratuito. E se i movimenti di macchina sono meno iperattivi e spigolosi che nei suoi film precedenti, questo non è necessariamente il segno di una nuova maturità. In una Napoli perennemente soleggiata seguiamo le vicende della giovane Parthenope, una bella ragazza borghese con un trauma familiare sulle spalle, avviata alla carriera accademica. Il film sottolinea di continuo presunte ricchezze e profondità, anche se non è chiaro se in questo artificio ci sia almeno un po’ di una delle due. E il tono assurdo e trasognato impedisce di fatto di empatizzare con la protagonista. La maestria di Sorrentino con la macchina da presa sarà sempre intrigante e in qualche modo esaltante. Ma Parthenope fluttua compiaciuta per un paio d’ore sullo schermo come se si trovasse in una pubblicità di un profumo molto costoso.
Peter Bradshaw,The Guardian
Stati Uniti / Messico / Regno Unito 2024, 129’. In sala
Con il suo secondo film da regista Viggo Mortensen ha creato qualcosa di speciale: una triste storia d’amore travestita da western classico. Nella seconda metà dell’ottocento, Olsen, un immigrato danese, di passaggio a San Francisco, s’innamora di Vivienne (Krieps). Ma fin dalla primissima scena sappiamo che la loro storia non durerà a lungo. Nel frattempo siamo testimoni di un massacro nel saloon di una tipica cittadina polverosa del west. Queste due tragedie – una più intima, l’altra intensamente violenta – definiscono il tono del film ambientato in un mondo dominato da violenza e corruzione, un mondo in cui nessuno può vincere. In ogni caso le emozioni più profonde del film non sono nei duelli con la pistola, ma nei momenti più teneri che arrivano quando il polverone si è dissipato.
Maxwell Rabb, Chicago Reader
Stati Uniti 2024, 127’. In sala
Dopo aver assistito alla morte violenta del suo spacciatore, la pop star Skye (Scott) comincia ad avere allucinazioni su sinistri aguzzini sorridenti, proprio come era capitato alla psicologa Rose (interpretata da Sosie Bacon) nel primo Smile. Inquietante e intelligente, ma raramente sorprendente, questo horror centra il suo obiettivo abbastanza bene, ma non riesce a superare il suo predecessore, più rozzo e diretto.
James Dyer, Empire
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