All’inizio dell’estate, sotto il sole inclemente dell’Adriatico, la vita si è quasi fermata a Podgorica, capitale del Montenegro. Un blackout ha mandato fuori uso i semafori, creando enormi ingorghi, internet ha smesso di funzionare e le sirene degli antifurti hanno cominciato a suonare senza sosta. “Dopo un’ora senza elettricità eravamo in preda al panico”, racconta Drago Martinović, agente di polizia in pensione di 61 anni. “Temo che se ricapitasse potrebbe durare più a lungo”.

La cattiva notizia per Martinović e per centinaia di milioni di persone nel mondo è che il rischio di blackout è in aumento. Con le estati che diventano più calde, cresce il bisogno di raffreddare gli ambienti, mentre le alte temperature danneggiano i cavi e alimentano il pericolo di incendi boschivi. La necessità di abbandonare i combustibili fossili rende la distribuzione della corrente una questione cruciale, ma finora non sono stati fatti gli interventi necessari per migliorare le infrastrutture.

Innescata da un aumento dei consumi e da una fornitura instabile, l’interruzione che ha colpito il Montenegro a giugno ha danneggiato anche le reti di paesi vicini, creando problemi alle famiglie, agli ospedali e alle località turistiche. Ci sono stati eventi simili dovunque. A luglio in Texas, negli Stati Uniti, milioni di famiglie sono state colpite dai blackout causati dall’uragano Beryl, senza poter usare i condizionatori nei giorni torridi dopo il passaggio della tempesta. Le interruzioni estive, che hanno riguardato sia i paesi poveri sia quelli più ricchi, sono solo un assaggio dei problemi che ci aspettano. La crisi climatica espone le reti elettriche a inondazioni improvvise che possono distruggere i tralicci e a siccità che prosciugano le riserve idriche. “L’intera infrastruttura è stata progettata in un’epoca climatica diversa da quella attuale, e ora viene usata in un contesto molto cambiato”, spiega Michael Webber, professore di studi energetici dell’università del Texas ad Austin.

Centrale spenta

L’instabilità delle forniture ha ripercussioni dirette sull’economia e sulla salute delle persone, oltre ad alimentare il caos politico. Rafforzare le reti per azzerare le emissioni nette entro il 2050, come previsto dagli accordi di Parigi del 2015, costerebbe circa 24mila miliardi di dollari, una cifra che supera gli investimenti necessari nelle energie rinnovabili. A causa della vastità del loro territorio e della grande domanda di energia, Cina e Stati Uniti dovrebbero affrontare le spese maggiori, ma ogni paese dovrebbe fare la sua parte.

Di recente hanno avuto problemi alla rete elettrica anche stati con grandi risorse energetiche, come il Messico e il Kuwait, oltre a importatori come l’Albania. L’elemento in comune è la mancanza di pianificazione. In Kuwait, uno dei paesi più ricchi del mondo, gli operatori che gestiscono la rete elettrica hanno deciso di bloccare la fornitura per settori per evitare un blackout totale: le temperature avevano superato i cinquanta gradi e le centrali non riuscivano a soddisfare l’aumento della domanda. Il governo ha fatto sapere che potrebbero esserci nuove interruzioni per evitare un collasso del sistema. “Nessuno ha capito l’importanza delle misure preventive”, spiega Fuad al Own, ex funzionario del ministero per l’elettricità e la fornitura idrica. “Bisogna prepararsi a queste situazioni con anni di anticipo”. L’emirato comunque può finanziare interventi alla rete elettrica sfruttando gli enormi guadagni della vendita di petrolio. Altri non hanno questa fortuna.

In Ecuador a giugno i passeggeri della metropolitana hanno dovuto scendere dai treni fermi e camminare nei tunnel al buio dopo che il paese è stato colpito dal peggiore blackout degli ultimi due decenni. Anche se Quito ha grandi riserve petrolifere, è pesantemente indebitato e fa affidamento sul Fondo monetario internazionale e su altri creditori. Alcuni problemi derivano da progetti disastrosi come la diga Coca Codo Sinclair, costata tre miliardi di dollari. Entrata in funzione da meno di dieci anni, la centrale idroelettrica da 1.500 megawatt dovrebbe fornire elettricità a un quarto del paese, ma è diventata una fonte di problemi: è stata colpita da almeno dieci blackout nella prima metà del 2024, mentre nei canali che portano alle turbine sono state scoperte più di settemila crepe.

A giugno la Coca Codo Sinclair è stata chiusa a causa delle piogge intense, e l’attività delle altre centrali elettriche è dipesa da una singola linea ad alto voltaggio, che è andata in avaria interrompendo la fornitura ovunque. Il rischio di un evento simile c’era dal 2004, ma il governo di Quito non ha mai costruito le strutture necessarie per evitarlo. In Messico i blackout sono diventati più comuni sia per il clima caldo e secco, sia per un boom economico che ha messo sotto pressione la rete elettrica. Con il caldo e i problemi alla fornitura i proprietari dei negozi spendono grandi somme per far funzionare le loro attività, soprattutto i generatori diesel, uno strumento diffuso dove i sistemi elettrici sono poco affidabili.

La crisi climatica aggrava la condizione di paesi che già in passato avevano infrastrutture poco affidabili. Nei Balcani le reti elettriche non sono riuscite a evitare le interruzioni di giugno. I consumi sono aumentati a causa di temperature vicine ai 40 gradi, mentre un incendio boschivo ha contribuito ai malfunzionamenti, creando disagi. In Albania la dipendenza dall’energia idroelettrica rappresenta un problema, considerando il clima sempre più caldo e secco. “Continuiamo a vivere in una zona ad alto rischio”, spiega la ministra per l’energia Belinda Balluku, sottolineando che le autorità stanno coordinando le operazioni e stanno facendo il possibile per “mantenere sicura la rete”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1579 di Internazionale, a pagina 93. Compra questo numero | Abbonati