Editoriali

Due elezioni azzardate

In apparenza il Regno Unito e la Francia vivono situazioni politiche opposte, a parte la concomitanza di elezioni decisive: il 4 luglio si voterà oltremanica, mentre in Francia le elezioni sono previste il 30 giugno e il 7 luglio. A Londra i sondaggi danno in largo vantaggio il Partito laburista, guidato dal moderato Keir Starmer e pronto a installarsi a Downing street (la residenza del primo ministro) dopo quattordici anni di governo conservatore, durante i quali i britannici hanno votato per la Brexit. Invece a Parigi la sconfitta alle elezioni europee di Emmanuel Macron e la sua scommessa di sciogliere le camere fanno temere l’affermazione dell’estrema destra.

Anche rispetto alle questioni europee i due paesi seguono tendenze opposte. Il Labour, deciso a non riaprire le ferite create dalla Brexit, non propone un ritorno nell’Unione europea ma si accontenta della promessa di migliorare i rapporti commerciali con il continente. Tuttavia la maggioranza dei britannici oggi crede che la Brexit sia stata un errore di cui si continua a pagare il prezzo. In Francia, invece, gli elettori hanno bocciato il loro presidente filoeuropeo premiando il partito Rassemblement national, che promette di cambiare rotta sull’ambizione comunitaria. Eppure questo quadro, che oppone una Francia sprofondata nel caos politico a un Regno Unito pronto all’ennesima alternanza nell’ambiente ovattato di Westminster, è fuorviante. Il venerabile sistema politico britannico, basato su elezioni a turno unico che lasciano poche possibilità ai candidati esterni ai due grandi partiti, vacilla sotto i colpi dell’estrema destra di Nigel Farage. Promotore del divorzio dall’Europa quand’era alla guida del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (Ukip), Farage è tornato in politica nel 2021 con il Reform Uk. Sostenendo un programma che promette l’azzeramento dell’immigrazione, tagli drastici alle imposte e una privatizzazione parziale della sanità pubblica, Farage approfitta della crisi dei conservatori. Demagogo nazionalista, xenofobo e nemico delle politiche sociali Farage cerca il successo denunciando i fallimenti che lui stesso ha favorito. Come se il referendum del 2016, deciso dall’ex primo ministro David Cameron in un bluff per neutralizzare la pressione di Farage, non fosse stato una bomba a grappolo sulla vita politica della più antica democrazia d’Europa.

È una prospettiva preoccupante per i francesi, che si preparano a un’altra rischiosa partita di poker voluta da Macron, quando ha deciso di sciogliere la camera. ◆ as

Vittoria a metà per Assange

Il fondatore di Wikileaks Julian Assange è libero. Da un punto di vista umanitario, è un’ottima notizia. Ma la soluzione trovata per rimetterlo in libertà ha un retrogusto amaro, poiché ha dovuto dichiararsi colpevole proprio dell’accusa che colpisce il lavoro dei giornalisti alle prese con i documenti arrivati dalle loro fonti: cospirazione per ottenere e divulgare informazioni sulla difesa degli Stati Uniti. I pubblici ministeri statunitensi non sono riusciti a dimostrare che Assange abbia aiutato la soldata statunitense Chelsea Manning a ottenere migliaia d’informazioni segrete che documentavano crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan. Sicuramente Wikileaks ha pubblicato i documenti, ed è quello che dovrebbe fare un giornalista se entra in possesso di materiale del genere. Si è discusso se sarebbe stato meglio oscurare alcuni nomi e dettagli per non mettere in pericolo le persone coinvolte. Ma nessuno crede davvero che in quel caso la rabbia di Wash­ington per le imbarazzanti rivelazioni di Wikileaks sarebbe stata minore.

Dopo quasi quattordici anni di persecuzione, inclusi sessantadue mesi in un carcere di massima sicurezza britannico, il patteggiamento ha consentito ad Assange, che soffre di gravi problemi di salute, di tornare libero in Australia. Resta però la minaccia alla libertà di stampa e un enorme problema di credibilità per il governo degli Stati Uniti e per l’occidente nella loro difesa di un “ordine mondiale basato sulle regole”. Assange e Manning sono stati perseguitati, ma gli autori dei crimini di guerra no. Un buon motivo perché le organizzazioni per i diritti umani e i mezzi d’informazione continuino a esercitare la loro critica, anche ora che Assange può tirare un sospiro di sollievo. ◆ nv

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1569 - 28 giugno 2024
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