Editoriali

Difendiamo la voce delle afgane

A tre anni dal ritorno dei taliban al governo, l’Afghanistan è diventato un inferno per metà della popolazione, quasi 21 milioni di donne. Anche se aveva promesso di “garantire” i loro diritti “seguendo i dettami dell’islam”, il regime teocratico ha pubblicato circa cento editti che hanno progressivamente limitato le libertà delle donne in tutti gli ambiti: istruzione, sanità, partecipazione politica, lavoro, svago, cultura. La lista delle restrizioni fa rabbrividire.

I taliban hanno inasprito ulteriormente la repressione elaborando una serie di leggi sulla moralità, ratificate dal leader spirituale Hibatullah Akhundzada il 31 luglio e rese pubbliche il 21 agosto. Le 114 pagine del testo rappresentano un inquietante catalogo di regole che rafforzano limitazioni già intollerabili. Una di queste, particolarmente ignobile, vuole condannare le donne al silenzio: la voce delle afgane sarà proibita in pubblico. Nessuna donna potrà cantare, recitare o parlare davanti agli altri se non vuole incorrere nelle punizioni del ministero per la promozione della virtù e la prevenzione del vizio.

Si aggiungono poi l’obbligo di coprire il corpo in pubblico in qualsiasi momento e di portare il velo e il divieto di guardare uomini che non siano parenti (e di farsi guardare da loro). La comunità internazionale non è riuscita a scongiurare il ritorno dei taliban. Ora il regime cerca un riconoscimento proprio da quella comunità sfruttando il suo ruolo nella lotta contro il terrorismo e il narcotraffico. Gli aiuti dall’estero e il lavoro delle ong sono cruciali in un paese dove la povertà estrema minaccia metà degli abitanti. Solo il Nicaragua e la Cina mantengono relazioni diplomatiche con i taliban, che hanno anche partecipato a riunioni di alto livello con politici russi e cinesi. Alla fine di giugno una delegazione di Kabul – senza donne né esponenti della società civile – ha partecipato a Doha al terzo vertice sull’Afghanistan. È una palese contraddizione per le Nazioni Unite: il suo relatore speciale sui diritti umani nel paese, Richard Bennett, aveva ricordato pochi giorni prima che quando l’oppressione diventa la regola per donne e bambine “dovrebbe muovere la coscienza dell’umanità”.

Nessuna considerazione geopolitica giustifica il fatto d’ignorare la repressione fanatica dei diritti delle donne e delle bambine afgane. La comunità internazionale non può abbandonarle di nuovo. Per di più ora che sono costrette al silenzio. ◆ as

Troppo caldo per i sistemi sanitari

La caldissima estate europea è stata segnata da immagini contraddittorie, come quelle provenienti da Atene e circolate molto sui social network: turisti che si rilassano in piscina mentre sopra le loro teste si alzano enormi pennacchi di fumo provocati dagli incendi boschivi fuori controllo.

Questo contrasto riflette l’indifferenza della società e la scarsa comprensione delle conseguenze dei fenomeni climatici estremi, aggravati dal continuo aumento delle temperature. L’Europa è particolarmente colpita, visto che si sta riscaldando a velocità doppia rispetto agli altri continenti. Le temperature sopra i 40 gradi sono ormai la norma in molte aree della costa del Mediterraneo.

Se vogliono preservare prosperità e benessere, le società europee non possono ignorare questo fenomeno. Bisognerà prima di tutto adattare i sistemi sanitari per proteggere i cittadini più vulnerabili, uno sforzo che finora è mancato completamente.

Secondo uno studio pubblicato su Lancet Public Health, entro la fine del secolo in Europa triplicheranno i decessi causati dal caldo estremo, con un aumento sproporzionato nei paesi del sud: si stima che passeranno da 43.729 a 128.809 all’anno. Questa dinamica potrebbe provocare problemi “senza precedenti” ai sistemi sanitari.

La crisi coinvolge a vari livelli tutti gli stati europei, anche quelli più a nord. Secondo le ricerche, in Irlanda le morti legate al caldo estivo aumenteranno di venti volte (passando da 30 a 563), con temperature che secondo le previsioni cresceranno di tre gradi. Una situazione peggiorata dal progressivo invecchiamento della popolazione. È la dimostrazione che l’Europa non si sta preparando alle sfide del cambiamento climatico. ◆ as

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1578 - 30 agosto 2024
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