
L’abbandono dell’infanzia, l’infanzia o adolescenza rubata, tradita, sono da tempo grandi temi affrontati da tutti i mezzi d’espressione narrativi. L’argentino Nicolas Arispe, autore di molti libri dall’impronta visiva antica ma rivista dalla modernità del surrealismo, propone sulla follia della guerra e sull’infanzia inerme un racconto riuscito, lineare, diretto e insieme allegorico. Come in altre sue opere, Arispe costella il racconto di esseri ibridi dalle strane forme. E dove tutti sono persi: gli dei come i bambini. Il bambino perduto o abbandonato nel bosco, una costante delle fiabe, riflesso di una paura ancestrale, diventa il pretesto per un racconto poetico che ha il senso della gravità ed è precisamente collocato nella realtà storica. Quella della guerra di una rara crudeltà che Brasile, Argentina e Uruguay mossero nella seconda metà dell’ottocento al piccolo Paraguay, sterminando gran parte della sua popolazione: quando non ci furono più giovani andarono al fronte gli anziani, quando gli anziani finirono furono arruolati i bambini, che si lanciarono anche in assalti alla baionetta. Chi restava in vita, vagava sperduto. Narrata per mezzo di grandi immagini rettangolari a doppia pagina, con un segno grafico che esprime un dolore delicato, pudico, la desolazione ha qualcosa dell’affresco di un mondo “altro” dove i fantasmi cercano di avere e dare conforto. Cercando di (far) ritrovare la giusta via.
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Questo articolo è uscito sul numero 1416 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati