Rinchiuso in un luogo artificiale, un cucciolo di giraffa, anzi forse è meglio dire un bambino giraffa, poiché lo sguardo è quello puro e incontaminato dell’infanzia, immagina come può essere il mondo “reale”: invece che violento per la ricerca del cibo lo vede con fantasia e poesia. Ingenuità o mondo ideale? Questo libro d’esordio, che ha l’ardire di reinventare un mito come quello dell’arca di Noé, è tra le sorprese più belle degli ultimi anni. Nel fumetto d’autore e soprattutto in quello popolare il lettore rischia l’overdose di immagini sature quanto vuote, sia in bianco e nero sia a colori, o di un virtuosismo grafico algido, in realtà banale. Montozzi mette invece in campo quanto di più umano possa fare un disegnatore: il disegno nella sua purezza, nella sua nudità. Nella sua essenza. Torna ai fondamentali: a un disegno in bianco e nero delicato e per giunta a matita, senza la china. Impressionare con un disegno di un realismo leggero, rappresentare una giraffa secondo le regole dell’accademismo, e tuttavia privo della pesantezza accademica, è già un successo. Ma alternarlo addirittura con l’opposto, elaborando un segno poetico e insieme astratto che trova una prossimità con il lavoro di un artista visivo come Pierre Alechinsky, è quasi folle. L’editore ha perfettamente compreso il valore di quest’opera e ha costruito un adeguato oggetto-libro per supportarla.
Francesco Boille
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Questo articolo è uscito sul numero 1466 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati