Il paradosso è che hanno dato molto alla Francia e spesso l’hanno anche davvero amata. Ma è stato davvero un caro prezzo quello pagato dagli immigrati italiani oltralpe, immigrazione talvolta provocata in modo subdolo dallo stato francese e qui narrata in un racconto corale che contiene le vicende dei singoli, piccole storie che fanno la grande storia. Si conclude un ampio affresco che parte dall’intimo, dall’autobiografia familiare attraverso più generazioni e che diventa rappresentazione del dramma di tutte le immigrazioni, passate e presenti. Abbiamo già scritto più volte della maniera unica con cui Baru gestisce in modo pulito, aereo, coreografico, quasi una danza, il suo teatrino di carta, grazie a un segno grafico elegante e diabolicamente espressivo, insieme a un gran senso dello spazio nella composizione delle tavole e delle vignette. Attualizza e trasfigura le marionette di carta dei giornali di Tintin e Spirou con cui è cresciuto. Ma se qui tutti sembrano recitare una loro commedia dell’arte (della vita), le sofferenze restano tante e pesanti. In questo gran finale, l’autore dà centralità agli altiforni che aprono e chiudono il racconto e all’immensa fabbrica in cui hanno lavorato i suoi e la loro comunità e di cui non rimane più nemmeno il museo, ormai chiuso. Opera della memoria, di vestigia, racchiude tutta la gravità dei dolori di secoli d’immigrazione, eppure risulta giocosa e piena di vita. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 79. Compra questo numero | Abbonati