Fin dall’antichità l’Italia è una terra di città. Ma di che tipo di città? E in che modo le loro specificità hanno condizionato la storia del nostro paese? A domande del genere risponde questa raccolta di saggi scritti dallo storico Giorgio Chittolini, che è morto a Milano il 3 aprile e che a lungo ha studiato il modo in cui le tante istituzioni locali più o meno formalizzate (piccoli centri, comunità, chiese, fazioni) hanno contribuito alla nascita dello stato moderno in Italia.
Qui spiega come i viaggiatori italiani che percorrevano l’Europa nel rinascimento stentavano a chiamare città i centri tedeschi, francesi o fiamminghi, non solo perché erano più piccoli di quelli che conoscevano, ma anche perché erano strutturalmente diversi. Solo in Italia, e solo nelle regioni del centro e del nord, era largamente diffuso il modello di città-stato che dominava un territorio rurale, i cui abitanti si sentivano in qualche misura cittadini anche loro.
La frequenza e la diffusione di questa configurazione politica, che dall’epoca dei comuni ne aveva marginalizzate altre concorrenti (comunità rurali, signorie, potenze straniere) rese il tipo di urbanizzazione italiana diversa dal resto d’Europa, impedendo che si formasse una vera gerarchia di centri con delle metropoli al vertice, moltiplicando le appartenenze e riproducendo la frammentazione su un orizzonte secolare. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1456 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati