L’autore, che ha 27 anni, racconta l’estate al mare in un campeggio per famiglie di Léonard, 17 anni. Una sera Léo assiste al suicidio di un coetaneo che conosce e non fa niente per salvarlo. Anzi, nel suo adolescenziale turbamento, scava una fossa nella sabbia e nasconde il cadavere. Le vacanze finiscono e Léo si aggira senza confessare quanto ha visto e ha fatto, mentre ancora nessuno si preoccupa, e quando infine la ricerca dello scomparso comincia parte inutilmente dal mare. Solo poco prima che tutti abbandonino il campeggio Léo si presenterà a un commissariato per raccontare, per confessare. Intanto “la musica insiste a voler farmi ballare”.
Rare nella letteratura italiana (Quarantotti Gambini, però, L’onda dell’incrociatore) le adolescenze inquiete, moralmente insicure, sono frequenti in Francia: da C. L. Philippe a Radiguet, da Colette a Sagan a tanti film (fastidiosi quelli di chi si crede un nuovo Rimbaud). Victor Jestin s’inserisce saldamente in questa tradizione. Nel quasi omicidio, nell’insicurezza di Léonard, c’è l’irresponsabilità verso gli altri, che poi è come uccidere se stessi, e c’è una solitudine fondamentale, generazionale ed epocale, ma rumorosa. Quasi in contemporanea è uscito da Neri Pozza il saggio-romanzo di Yannick Haenel, Solitudine Caravaggio. I francesi non dormono. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1433 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati